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danilo severini

 

Da anni ormai un mistero percorre le valli del Parco del  Gran Paradiso: gli stambecchi diminuiscono, non solo non si trovano i cadaveri, ma il loro numero va    scemando in modo troppo rapido e massiccio per poter essere attribuito ad atti di bracconaggio, che per altro non risultano in alcun modo; di più, è diventato eccezionale vedere femmine con  piccoli mentre gli individui anziani sono la norma. Gli ultimi due inverni, assai più rigidi della media dei   precedenti dieci , non sono stati una mattanza  tale da giustificarne  i numeri del calo; ma gli stambecchi del Gran Paradiso ormai sono solo più l’ombra di quel che furono, una popolazione  dimezzata,vecchia, stanca, ed avviata ad una inesorabile scomparsa.  Non è un  dramma, stambecchi ormai ce ne sono su tutte le  Alpi ed anzi le popolazioni confinanti col Gran Paradiso in  Italia, in Francia sono sane e dinamiche; ma allora cos’è che fa sparire quelli del Gran Paradiso? E perché non migrano in sostituzione quelli delle popolazioni vicine? Tranquilli, c’è chi ci pensa: insieme all’annuncio pubblico della debacle apparso sulla stampa in modo occasionale, è stato rivolto ai  cittadini l’invito a devolvere il 5%o per… studiare le cause del problema!!  E sai che soluzione!  In realtà, come vedremo, le cause son ben note;  ciò che non è  chiaro è se esista, e quale sia, una soluzione che eviti l’estinzione di quegli animali che furono,  e sono, il principale motivo dell’esistenza del Parco.

Perché un unico motivo ed un’unica causa ne producono la scomparsa: il motivo è il mancato rispetto delle leggi di natura, la causa  la miope gestione ambientale orientata su preconcetti cari ai verdi di città ed animalisti urbani, ignari anche di quale parte della gallina deponga l’uovo ma sempre  pronti a pontificare e a far danni..  Infatti è legge naturale che le specie, in natura, siano soggette a fattori limitanti che ne regolano l’espansione e la salute; sostanzialmente  malattie, predazione, fattori ambientali. Le dinamiche che regolano gli effetti di tali fattori limitanti sono note a qualsiasi studente di biologia,  ed è facilmente comprensibile da parte di  chiunque che il principale fattore limitante di un ambiente estremo come quello del Gran Paradiso sia la disponibilità dei pascoli invernali, quelli che consentono  alle femmine giovani e sane di partorire prima ed allevare poi i piccoli.  Ma nel Parco questi pascoli sono quasi distrutti, divorati da un sovrannumero di stambecchi ( e camosci) scaturito dalla mancata limitazione della popolazione.  Perché i predatori, se ce ne sono, nel Parco e più in generale in tutti i nostri  territori  antropizzati, non possono essere tanti da controllare le popolazioni di ungulati selvatici senza interferire pesantemente con le attività umane.  Le malattie , poi, se  giungessero su una popolazione vecchia, sarebbero in forma epidemica, e darebbero il colpo di grazia alla popolazione stessa.

Allora ricapitolando:i pascoli invernali, sovrasfruttati e calpestati sino alla distruzione, non possono garantire alle giovani femmine gravide cibo sufficiente innanzitutto a portare a compimento la gravidanza; e i piccoli, semplicemente, non nascono o sono deboli e non sopravvivono.  Le femmine ed i maschi riproduttori,  intanto invecchiano e le femmine vecchie abbiamo  visto non siano valide riproduttrici.  Così, il ciclo infernale si è chiuso: troppa protezione, protezione integrale, ha rotto una volta di più gli equilibri naturali, e prodotto  risultati opposti a quelli perseguiti.

Sembra lapalissiana la soluzione: ripristiniamo  i pascoli invernali! Così potremo conservare (a fini turistici?) un numero elevato di stambecchi, che torneranno spontaneamente migrando dalle popolazioni confinanti. E fosse facile: i pascoli invernali non sono verdi e piacevoli praticelli in quota, ma pareti scoscese ove vento e verticalità scoprono le poche erbe secche che garantiscono la sopravvivenza solo ai più forti, e non è possibile andare a zappare e  seminare.  Da aggiungere poi la competizione con i  camosci, anch’essi in sovrannumero,e certamente più adattabili degli stambecchi a cibi e quote  inusuali.  Quindi i pascoli invernali   potranno ricrearsi in tempi lunghi solo naturalmente e dopo che sarà cessato il loro sovrasfruttamento, ma per allora la tragedia sarà compiuta e gli stambecchi del Gran Paradiso scomparsi.

Se ci si fa ben caso le medesime problematiche, sia pur con effetti meno drammatici legati alla minor severità degli ambienti, si sono verificate / si verificano / si verificheranno per cervi, caprioli, cinghiali: i cervi del Gran Bosco si sono mangiati gli abeti bianchi, che costituivano il principale motivo di istituzione del parco; i caprioli sono in aumento esponenziale in tutti gli ambienti, si mangiano i boschi come le pianticelle di vite e di alberi da frutta; dei cinghiali parla la cronaca, cui è ben noto il loro proliferare ed i conseguenti danni alle colture, che dovrebbero essere ripagati non solo a carico di chi, cacciandoli, ne riduce la densità ma anche, perlomeno, di chi  si oppone preconcettualmente a qualsiasi pratica venatoria……

E’ ora di ripensare il concetto di protezione ambientale e tutela della biodiversità anche e   soprattutto nelle aree protette, poiché il sistema di lasciar fare alla Natura non è garante dei risultati.

E’ ora di utilizzare pragmaticamente tutte le opzioni, compresa quella venatoria a supporto e/o in sostituzione di  quella predatoria anche e  soprattutto nelle aree protette; che non avrebbero motivo  di essere protette se scomparissero per eccesso di protezione le specie animali e vegetale per cui  sono state instituite.

E’ ora di cessare di dar peso alle sterili polemiche ideologiche che bloccano la corretta ed organizzata gestione conservativa degli ambienti e delle specie. Utilizzando anche l’opzione venatoria che è, piaccia o non piaccia, una necessità nel nostro antropizzato territorio.

E’ soprattutto ora di ricordare che le leggi naturali non sottostanno né alle ideologie nè alle leggi degli uomini.