<%@LANGUAGE="JAVASCRIPT" CODEPAGE="1252"%> Corso di politica

Aiuta, leggi, scrivi, spenditi ... che il mondo non rallenti neppure una volta per colpa tua!

 

Questo corso non si esprime secondo l’insegnamento tipico dei corsi a pari tema. Non descrive, per esempio, i compiti di un amministratore o le norme statutarie di un congresso; più onestamente, evita le ipocrisie e racconta i "veleni" che, di là della norma statutaria, sono abitudine di ogni struttura di partito.

La democrazia italiana è falsa ma il popolo risponde in modo impulsivo e inefficace.

Come sempre, la via d'uscita esiste, però occorre sapere alcune cose e smetterla di seguire la facile illusione del chiasso, dei proclami e dell'improvvisazione.

I partiti politici sono gli strumenti costituzionali per rappresentare le istanze del popolo nelle istituzioni, ma oggi i nostri partiti non svolgono detta funzione e sono gestiti a uso e consumo dei loro dirigenti. Per così dire, non sono rimasti di proprietà del popolo, dunque, è proprio il popolo che deve ritrovare l'intelligenza di sapersi organizzare in squadra.  

 

 

 

    

Scarica i capitoli da  n.1 a n.91    

 

 

 

Ti racconto la politica 1

(Lo schema)

 

Caro lettore, ho la fortunata possibilità di parlare un po’ con te; ne sono lieto e di questo ringrazio il direttore Arturo Diaconale. C’incontreremo ogni settimana e parleremo di politica, evitando di ripetere le solite cose che sentiamo da decenni. Racconteremo senza ipocrisie i “vizi” che, di là della norma statutaria, tendono ad essere la quotidianità dei partiti politici. È sentimento comune che la politica ci faccia un po’ dannare, ma è anche palese che gli atteggiamenti popolari nei confronti di essa siano spesso inefficaci o quanto meno superficiali. Nei nostri incontri settimanali cercheremo di ovviare a questa superficialità. Intanto, tracciamo un semplice schema.

Il maggiore concime d’ogni cosa è il tempo; non è mai esistito, lo sai, un seme che sia diventato immediatamente albero. Un progetto è un progetto e capita che parta da un’idea e si avvii su un pezzo di carta. Sono certo che in tema di politica, il progetto che svolgeremo in queste pagine ci fornirà qualche utile conoscenza. Bene, proseguiamo con un semplice schema! Prendiamo un normale foglio di carta, posizioniamolo in verticale e tracciamo due linee parallele che corrono dall’alto verso il basso. Scriviamo la parola “Partito” sopra la prima linea e la parola “Istituzione” sopra la seconda. Ora, scegliamo di definire come “Sezione” il più piccolo livello territoriale di partito, e come “Comune” il più piccolo livello territoriale dell’istituzione. Sotto, di seguito, scriviamo “Sezione comunale” nella linea Partito e, di fianco, “Comune capoluogo”, nella linea Istituzione. Ancora sotto, scriviamo “Sezione provinciale” nella linea Partito e “Provincia” nell’altra. Proseguendo sempre a livelli paralleli, scriviamo adesso “Sezione regionale” nella linea Partito e “Regione” nella linea Istituzione. Bene, siamo arrivati a Roma! Scriviamo “Organi nazionali” nella linea Partito e “Senato, Parlamento, Governo, Enti”, nell’altra. Ecco, lo schema ti dice intanto che nelle varie porzioni di territorio esistono le strutture notoriamente pubbliche, ma anche le corrispondenti strutture di partito. Perché? Tra le due linee tracciate, quale conta di più? Esiste una terza linea non “visibile”?

p.s. - Sono lieto d’averti conosciuto; ti aspetto alla prossima puntata!

 

 

Ti racconto la politica 2

(La terza linea nello schema)

 

Eccoci, caro lettore, alla seconda puntata. Come ti dicevo, c’incontreremo ogni fine settimana per parlare di politica e raccontare senza ipocrisie certi “vizi” che, di là della norma statutaria, tendono ad essere la quotidianità di molti partiti. La politica dei “politici” ci fa un po’ dannare, però molti atteggiamenti del popolo sono inefficaci o quanto meno superficiali; nei nostri incontri cercheremo di ovviare, come potremo, anche a questa superficialità. Bene, proseguiamo!

Quale conta di più? Esiste una terza linea non “visibile”? Sono le domande che concludevano il capitolo d'inaugurazione della nostra rubrica.

La risposta sta arrivando, ma prima tracciamo sul nostro schema una terza linea a fianco delle precedenti. Si tratta di una linea che vuole farsi vedere poco, dunque, disegniamola più sottile o tratteggiata e chiamiamola “Sottobosco”; capiremo presto che non le diamo questo nome per caso. Nella terza linea che è stata appena tracciata, elencheremo alla rinfusa, magari solo in base a un presunto ordine d’importanza, i nomi delle “appendici” pubbliche, semipubbliche e d’influenza pubblica che conosciamo. Sappiamo che neppure il più preparato e informato sarà in grado di inserire nella terza linea del nostro schema l’intera foresta delle appendici accennate, anzi pensiamo addirittura che sarà in grado di elencarne solo una piccola percentuale. Proseguendo in questi capitoli, capiremo i motivi per i quali sono stati creati gli incredibili organismi del “Sottobosco” che, forse, avremmo potuto chiamare “Occulto”. In più, non dimentichiamo che ognuno di quegli infiniti organismi e paraorganismi è retto da presidenze, vicepresidenze, amministratori delegati, direttori, ispettori, commissioni e organi statutari di ogni tipo, così come d’ogni tipo sono i consulenti esterni di cui detti organismi si avvalgono.

Nel pezzo di carta sotto i nostri occhi, ci sono ora tre linee parallele che abbiamo chiamato “Partito”, “Istituzione” e “Sottobosco”. Il nostro schema è praticamente pronto, dunque possiamo utilizzarlo per fare un viaggio dentro la politica e dentro i partiti, perfino per scoprirne vizi e veleni. A proposito, rispondo alle domande. Sì, l’abbiamo appena tracciata sul foglio, dunque sai già che la terza linea esiste. Infine, la linea che conta di più, cioè quella che ha potere decisionale sulle altre due, è la linea che abbiamo chiamato “Partito”. Forse non lo sai, ma sono i dirigenti dei partiti politici che stabiliscono tutti ma proprio tutti gli “abitanti” delle altre due linee. Prossimamente vedremo come e perché.

 

 

Ti racconto la politica 3

(Gli uomini di parrocchia)

 

Col dovuto rispetto per il reale significato di parrocchia quale insieme di fedeli di una porzione di diocesi cristiana, la locuzione “uomini di parrocchia” è un modo retorico per intendere gli uomini di squadra o del giro o del clan o del capo. Anche in questo caso esistono le varie giurisdizioni territoriali, come espresso nel nostro schema delle tre linee. Gli uomini di parrocchia sono ovunque e la loro ambigua azione è sancita e regolata dai partiti politici.

Il semplice schema disegnato nelle prime puntate, riporta tre linee che abbiamo chiamato "Partito", "Istituzione" e "Sottobosco". Abbiamo detto poco della linea “Istituzione” ma intanto ci limitiamo ad affermare che è anche una sorta di magazzino, di parcheggio e perfino di hotel di lusso nel quale si “sistemano” gli addetti ai lavori. Abbiamo invece appreso che la linea “Sottobosco” non ama mettersi in evidenza e che la linea “Partito " detiene ogni potere decisionale sulle altre due.

Perché?

Beh, a questo punto occorre parlare dei cosiddetti “uomini di parrocchia”. Fino ai primi anni Ottanta del secolo scorso, essi erano proseliti, attivisti, amici, compagni e via discorrendo; si trattava di persone di antica e sincera fede politica, mosse da alti sentimenti. Poi, almeno una quindicina d’anni prima del sopraggiungere della cosiddetta seconda Repubblica, hanno preso a trasformarsi un po’ per volta in “uomini di parrocchia”, cioè in quel popolo tra il popolo che svende il popolo. La locuzione “potere politico” è logora e antica, ma rende l’idea di cosa voglia dire, dunque, non cercheremo alcun analogismo più moderno. Il potere politico punta a piazzare "uomini di parrocchia" in ogni possibile realtà che generi interessi, anche la più piccola o remota, fino a creare appositi burocratismi qualora non fossero già stati previsti.

Si tratta di una sorta di strategia d’invasione e di controllo che ha genesi nei partiti politici. Per interessi, s’intendono affari, controlli di persone, di quattrini, di regole, di notizie, di voti e di potere. Sui poteri dello Stato - quello Stato che dicono che siamo noi ma che non è vero - si fa molta confusione. I poteri istituzionali dello Stato sono tre: il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario; ne parleremo, dunque, non facciamo confusione e ricordiamolo! L’accennato piazzamento degli uomini di parrocchia, si decide nelle sedi dei partiti politici e si gioca nelle tre le linee che abbiamo disegnato; essi, infatti, oltre che nelle istituzioni e nel sottobosco, vengono piazzati anche direttamente nei partiti. Il nostro viaggio nella politica e nei partiti è appena iniziato; nel prossimo capitolo vedremo con quali criteri si piazzano queste decine e decine di migliaia di parrocchiani “sui generis”.

 

 

Ti racconto la politica 4

(Verso i congressi)

 

La conoscenza “in breve” non rende competenti. Esistono cose più semplici di altre, ma la superficialità non dà ragione neppure di quelle. La politica è tra le cose più difficili e nel popolo, l’esercito di individui che s’improvvisano politologi, è ormai un guaio per l’intera società. Nella vita, dunque anche nella politica, il concreto e subito non esiste; forse è meglio intendere che conoscenza e coscienza si formino un po’ per volta.

In questo quarto capitolo inizieremo a occuparci dei criteri che si usano per piazzare gli "uomini di parrocchia" dei quali abbiamo detto nel capitolo precedente. La questione è articolata, ma cercheremo di descriverla in modo chiaro e come accennato sopra, un po' per volta. Richiamiamo adesso alla nostra attenzione il termine “congresso” e cerchiamo di capire, anche con un pizzico d’umiltà, che è difficile avere cognizione delle mille recondite sfaccettature del suo significato, salvo che non si sia stati dei precisi addetti ai lavori. Cos'è un congresso di partito? Perché si fa? Come si fa? Chi lo fa? Quali compiti ha? Quali poteri, segreti e codici racchiude?

I partiti politici sono molto gelosi delle loro attività dietro le quinte e i congressi sono, per così dire, una delle quinte più possenti di cui dispongono. Atto esteriore o sostanziale che sia, in democrazia si deve votare e nei congressi si vota. Ciascuno si farà personale carico di valutare se viviamo in una democrazia vera o finta, ma in entrambi i casi, vi sono presupposti che non possono essere soppressi. Nessuna democrazia infatti, può cancellare l’istituto del voto, dunque, un’eventuale democrazia finta cercherà in tutti i modi di controllarlo. Qualcuno vorrà fare fatica a crederlo, ma i congressi sono genesi di un mare di espedienti e per certi aspetti, contano perfino più delle elezioni pubbliche. Stiamo iniziando a descrivere gli intrighi in cui essi si avvinghiano e giacché sono abitudini comuni, svolgeremo una sorta di cronaca in diretta di un congresso tipo.

C’è chi ama pensare che informazioni del genere siano poco rilevanti, ma certa politica si fa forte anche della superficialità popolare. Si tratta di metodi discutibili che hanno creato un grave distacco tra popolo e politica, ma accade perfino che detto distacco sia voluto. Piaccia o no, la politica è nel piatto in cui mangi e nel letto in cui dormi e non è raro che s’interessi a te, ottenendo che tu non t’interessi a lei. Intimamente intesi da pochi addetti ai lavori, i congressi delineano la base della nostra democrazia; è opportuno che la gente ne sappia un po' di più. Ora, una domanda nasce spontanea; se i congressi dei partiti politici sono “pilotabili”, è pilotabile anche la democrazia?

P.S. La prossima puntata s’intitola “Il tesseramento”, ciao e a presto!

 

 

Ti racconto la politica 5

(Il tesseramento)

 

Gli assiomi, ovvero il giorno, la notte, la forza di gravità eccetera, sono indiscutibili, dunque, mirare a “fabbriche di assiomi finti”, come talvolta si fa con la politica, la pubblicità e l’informazione, porta facili approvazioni. L’essere umano non influenzabile non esiste e più si proclama libero e più è a rischio di buttare il cervello all’ammasso. L’ordinamento politico dà al cittadino l’illusione della scelta e non è raro che crei regolamenti e leggi per abusare a norma di legge. Qui, parliamo dei meccanismi che permettono tali abusi; non dimentichiamo lo schema del primo capitolo e quella linea verticale che decide per le altre.

Il tesseramento è uno strumento pieno d’intrighi. Nel precedente capitolo, dicevamo che la conoscenza “in breve” non rende competenti; ora aggiungiamo che essa espone al plagio, ovvero a quella scienza che modella l’esteriorità per gabbare il senso dell’etica e del giusto. L'Italia s’incanta d’estetismi e per creare delle fissazioni, basta la retorica buonista che usa in modo subdolo parole come democrazia, solidarietà, cooperazione, tutela, assistenza, libertà d’opinione, diritto di parola e quant’altro. Sono ormai bigottismi culturali che proliferano laddove l’emotività prende il posto della ragione, magari insieme a un po’ di chiasso. Esistono più forme di democrazia, per esempio quella presidenziale o quella diretta; la democrazia italiana si dice “parlamentare rappresentativa”. Prima di chiedersi quale sia la democrazia migliore, occorre capire che un popolo politicamente impreparato non può avere nessuna democrazia. Il cosiddetto “partito politico” è lo strumento costituzionale col quale il popolo si rappresenta, ma oggi non è ciò che doveva essere.

Nell'animo del costituente, esso era l'anello di congiunzione tra le istituzioni dello Stato e la volontà popolare; l’articolo 49 fissa il diritto di associarsi in partiti politici per intervenire con "metodo democratico" nella politica nazionale. Per non farla lunga, diciamo subito che oggi il metodo democratico non esiste e fatta appunto salva l’esteriorità, non è raro che i partiti violentino l'etica democratica sia dentro sia fuori di essi. Come affermato nel secondo capitolo, i partiti politici determinano le scelte istituzionali, dunque, i loro dirigenti sono uomini di potere. L’iscrizione, ovvero la tessera, dà diritto di partecipazione alla vita del partito ma rappresenta uno dei tabù italiani; si creda o no, neppure la Polizia di Stato ha gli elenchi rispondenti al vero, degli iscritti. In Italia, i tesserati complessivi di tutti i partiti, sono poco più del 2% della popolazione ma detta percentuale, già esigua, è ingannevole perché i partiti "inventano" le tessere. Lo fanno in più modi e suscitano indignazione i cosiddetti “pacchettari” che tesserano nomi alla rinfusa, “estratti” dagli elenchi telefonici e dalle lapidi dei cimiteri. Ne parliamo, certo che parliamo!

 

 

Ti racconto la politica 6

(Tra tessere false e vere)

 

La democrazia è cosa diversa dall’ipocrisia che se n’è fatta per dare agio ai criminali e vigore agli stupidi. Sul significato, la funzione e l’importanza della politica, si fa molta confusione; c’è gente che si crede forte perché si dichiara apolitica; essa non sa che mentre il suicida si uccide di colpo, l’apolitico si uccide un poco al giorno. Luoghi comuni, fissazioni e slogan hanno sostituito la suggestione all’intelligenza. In tale clima di superficialità, non è possibile concepire azioni efficaci di rivalsa politica popolare.

Alcune considerazioni del precedente capitolo, indicano in media che in un campione di un milione di cittadini, gli iscritti ai partiti, l’uno per l’altro, siano circa ventimila, compresi i tesserati “a loro insaputa” e i già passati a miglior vita. Chiariremo perché accade ciò ma, stabilito arbitrariamente che si possa fare a meno dell’autografa spontaneità, ecco che elenchi telefonici e lapidi dei cimiteri diventano mezzi molto comodi per fare pacchetti di tessere, ovvero di iscritti.

Tra poche puntate, scopriremo chi sono i cosiddetti “pacchettari”. Conoscere pubblicamente il rapporto tra tessere vere e false è impossibile, ma dal numero di denunce, scandali e anche analisi dirette, si può supporre che nessuna delle due quantità possa vantare un netto distacco sull'altra; nei congressi, i pacchetti di tessere sono determinanti.

Quanto sopra ha molta influenza sull’apparato istituzionale ma, da esterni, è difficile che si possa intuire l’enorme potere dei congressi di partito sulla vita pubblica. I fatti associativi sono il mezzo per intervenire nella politica del Paese; di là di altre divagazioni, si tenga ben presente che i partiti politici sono soltanto dei fatti associativi. Tutti i poteri, finanziari, malavitosi, culturali, industriali, corporativi, popolari, onesti o disonesti che siano, si riuniscono in fatti associativi per intervenire nella vita democratica. Accade però che certi poteri, magari anche cinici, abbiano capito l’utilità di riunirsi in partiti politici; il popolo, invece, afferma che i partiti siano già troppi e non considera che sia praticamente impossibile trovarne uno di vera “proprietà” popolare. In tale distorsione, si formano partiti che si blindano dietro il solito paravento di buonismo estetico, mentre osteggiano ogni incursione dall’esterno.

La gente spesso non lo sa, ma i congressi dei partiti sono il percorso ufficiale e costituzionale di accesso al potere. Il controllo dei congressi è strumento per pilotare il potere politico ed è anche il primo passo per manipolare le votazioni pubbliche. Nei congressi, si eleggono/nominano i dirigenti dei partiti e proprio loro sono i veri Caronte che traghettano ogni disparato proposito nei palazzi dell’Ade, ovvero delle disposizioni pubbliche. È un tema importante che merita approfondimento; riprodurremo una sorta di diretta, descrivendo ogni trucco e dettaglio, della celebrazione tipo di un congresso.

 

 

Ti racconto la politica 7

(I postifici)

 

L’informazione seria pubblica notizie oggettive, quella “viscerale” punta invece a enfatizzare ogni notizia col fine di creare suggestioni. Questo corso racconta realtà, meccanismi ed espedienti difficilmente confutabili.

I “postifici”, gli “appaltifici” e i “consulenzifici” sono particolari uffici di collocamento e agenzie d’affari, gestiti da dirigenti di partito e loro adepti. Si tratta di strutture ramificate in qualsiasi amministrazione o ente pubblico, che servono a fare fronte alle necessità criminali del voto di scambio. I postifici in particolare procurano un’enormità di assunzioni pubbliche a tempo indeterminato, pagate dallo Stato con i soldi dei contribuenti.

Abbiamo assunto l’impegno di pubblicare una sorta di cronaca in diretta di un tipico congresso di partito e manterremo il nostro impegno. Molti evitano la fatica di tenerne conto, ma occorre affermare esplicitamente che la politica non può essere capita se non si posseggono alcune specifiche informazioni di base; in questo corso, ci stiamo occupando di fornirle. Non anticipando la descrizione di certi meccanismi, sarebbe difficile capire molti passaggi della diretta congressuale che ci accingiamo a rappresentare.

Credere di realizzare qualcosa senza possedere le opportune informazioni, è da presuntuosi; per esempio, la nostra storia dell’ultimo mezzo secolo almeno, dimostra come la superficialità abbia determinato azioni di rivalsa politica popolare del tutto inefficaci. I congressi dei partiti sono preordinati a tavolino da pochi capi e lo svolgimento ufficiale dei lavori è solo un fatto esteriore per simulare democrazia.

L’esteriorità “pilotata” genera notizie addomesticate e rappresentare la realtà senza conoscere la realtà, è socialmente dannoso. Blogger, politologi e giornalisti improvvisati che rilanciano col ritmo dell'ossessione qualsiasi pubblicazione alla rinfusa, non sono utili alla consapevolezza popolare. Il potere politico conosce l'inganno della suggestione e usa chi improvvisa, come facile veicolo di plagio. Adesso, riosserviamo l’iniziale schema delle tre linee verticali parallele e aggiungiamo, tra parentesi, (assunzioni - appalti - consulenze), sotto i titoli “Istituzione” e “Sottobosco” con cui abbiamo denominato la seconda e la terza linea.

I postifici, in particolare, sono come magazzini di milioni di posti di lavoro retribuiti dallo Stato, sparsi in tutt'Italia e a disposizione delle necessità del voto di scambio. Dai postifici agli appalti, dai grandi capi ai più piccoli signorotti locali, i congressi tracciano la sorte di tutto. Giacché lo schema è sotto i nostri occhi, osserviamolo ancora un po’. Riportati i vari livelli territoriali, abbiamo visto che ad ogni istituzione amministrativa comunale, provinciale, regionale o nazionale, corrisponde un livello di partito. Per andare avanti, occorre sapere come sono organizzati gli accennati livelli territoriali dei partiti; poi, finalmente, passeremo alla cronaca in diretta di un congresso tipo. Il territorio è pieno di “signorotti”… parleremo di loro e di ciò che fanno.

 

 

Ti racconto la politica 8

(Territorio e nani di periferia)

 

La democrazia si è dimostrata negativamente diversa da come era stata immaginata; non è amministrata a favore del popolo e sarà così finché tanti cittadini useranno l’emotività e la suggestione al posto dell’intelligenza. “Eccitarsi” per la democrazia e intenderla come un fatto dovuto, è stato facile, ma essa è oggi subdola espressione della dittatura. La sua prepotenza è ramificata e recluta un popolo tra il popolo che tradisce il popolo. Una società impreparata non può avere la democrazia vera; ne è prova il fatto che questa dittatura che si fa chiamare democrazia ha sistematicamente eroso la scuola e l’informazione.

A suo tempo, la cultura e la fede politica liberale, socialista, democristiana, missina, comunista o altro che fossero, generavano forme spontanee di aggregazione tra cittadini, dette partiti politici, che si organizzavano per portare le istanze popolari nelle istituzioni parlamentari. Dette aggregazioni sono ancora lo strumento legittimo per accedere al potere delle istituzioni, ma hanno tradito la loro funzione rappresentativa del popolo.

Insomma, il partito politico preserva con impegno la funzione di accesso al potere, ma devia l’attenzione dagli interessi popolari. Quanto sopra lascia capire che il controllo di un partito apra la strada al controllo di molti poteri. Giacché i congressi dei partiti determinano il comando dei partiti stessi, esistono mille trucchi e veleni per pilotarli. Ricordate i livelli territoriali “disegnati” nello schema del primo capitolo? Sezioni, cellule, coordinamenti, club o altro, ogni partito li chiama a modo suo; noi, per semplicità e per non confonderci con nessuno, li chiameremo “ripartizioni”. La gestione di un congresso è un’attività perversa, controllata nei minimi particolari, che parte proprio dalle ripartizioni territoriali. Come affermato, nessuna democrazia può sopprimere l’istituto del voto, dunque, una democrazia falsa vuole controllarlo; le occasioni di voto più importanti sono le elezioni pubbliche e i congressi. Partiti e istituzioni vanno in parallelo; ricordate? Ogni livello territoriale delle istituzioni (Comune, Comune capoluogo, Provincia, Regione, Stato), ha una corrispondente ripartizione territoriale di questo e quel partito. Nelle ripartizioni, ogni partito fa riferimento a pochi signorotti che potremmo anche chiamare “nani di periferia”. Nessun partito è così partecipato da avere una ripartizione in ogni piccolo comune, dunque, può accadere che un nano di periferia rappresenti il suo partito anche in più paesi limitrofi. Detti signorotti sono il primo anello della catena di quel popolo che tradisce il popolo. Sono piccoli prepotenti locali attorniati da individui pronti a vendere la loro madre per ricevere qualsiasi protezione o per diventare signorotti a loro volta; essi rappresentato i livelli più bassi e squallidi della terza linea che nello schema abbiamo chiamato “Sottobosco”. La descrizione della “territorialità” dei partiti è solo iniziata.

 

 

Ti racconto la politica 9

(I dirigenti di partito)

 

Ti ripeto che la politica è nel piatto in cui mangi e nel letto in cui dormi. Stabilisce i libri di testo della scuola che frequenta tuo figlio, le carte della burocrazia, quanto costa la maglietta che indossi, la benzina, l’energia e via discorrendo fino a modellare la tua intera vita; spera che non t’interessi a lei ed è felice se fai l’apolitico. Interviene nella tua cultura e nella tua mentalità, plasmando in te una logica che non c’entra nulla con la logica. In questa tirannide, hanno forte ruolo i dirigenti di partito: dai nani di periferia del precedente capitolo, ai dirigenti nazionali che alienano l’intero Paese.

Fissati come “ripartizioni” i livelli territoriali più piccoli, abbiamo appreso che i partiti si fanno lì rappresentare dai signorotti che già chiamiamo nani di periferia. La nostra democrazia è come composta da alcune grandi piovre che muovono decine di migliaia di piccoli polpi, formando una capillare rete di tentacoli. Analizzeremo i vizi che nei decenni sono divenuti intrinseci di questa forma di organizzazione ma completiamo prima, sia pure brevemente, la descrizione tecnica dell’accennata suddivisione territoriale.

Sappiamo che l’intero territorio nazionale è suddiviso in un cinico groviglio di istituzioni che vanno dalle più piccole locali, alle più grandi nazionali; questa maniacale capillarizzazione è funzionale al fine dei partiti politici di controllare tutto. In precedenza, abbiamo letto che un regime politico, perfino criminale, che vuole farsi chiamare democrazia, non può eliminare l’istituto del voto; i congressi sono le occasioni di voto in cui i partiti “eleggono” i loro dirigenti.

Dato l’esiguo numero d’iscritti veri e “vivi” (leggi capitolo numero 5  “Il tesseramento”), la partecipazione congressuale è numericamente una farsa, anche se carica d’enfasi mediatica; va da sé che i dirigenti di partito saranno “eletti” da una perfida regia congressuale che descriveremo nei particolari.

Immaginiamo di osservare, come da un aereo, il groviglio delle maglie territoriali di frazioni, circoscrizioni, comuni, comuni capoluogo, province e regioni; la costosissima rete che vediamo, coincide con i vari livelli d’ingerenza dei partiti e dei loro dirigenti. Nelle ripartizioni territoriali maggiori, cioè dalle città capoluogo di provincia in poi, i partiti si danno assetti che chiamano in molti modi  ma che noi esemplifichiamo con i termini di “segreterie politiche”, “direzioni” e “comitati”. Insomma, esistono segreterie politiche, direzioni e comitati per ogni livello territoriale maggiore, fino alla dimensione nazionale: ora, la citata rete dei tentacoli è completa.

Infine, c’è un labirinto di istituzioni che si aggiunge alle amministrazioni pubbliche territoriali; il compito di nominare i capi di detto ulteriore groviglio di istituzioni, è dei partiti, ovvero dei loro dirigenti. Parte da qui l’altissimo numero di parassiti pubblici che sono essenziali al voto di scambio del quale parleremo. I dirigenti che contano sono pochissimi... segnaleremo quali.

 

 

Ti racconto la politica 10

(Pietra miliare)

 

Siamo arrivati al decimo capitolo di questo corso, caro lettore e l’ho intitolato “Pietra miliare”, come ad esprimere una sorta di pausa per dirci delle cose un po’ come si fa tra amici.

Desidero dirti, per esempio, che in queste puntate non ho esposto delle opinioni personali, ma delle realtà che ho vissuto direttamente.

Sono stato tra i dirigenti nazionali di un partito di governo e ho visto con i miei occhi le cose che ti racconto.

Oltre gli alti ranghi, come ti ho già detto, la politica nostrana ha creato un popolo tra il popolo, che tradisce il popolo ed è facile che ogni quattro o cinque persone che incontri, tu t’imbatta in uno di quei traditori.

Ciò accadrà inevitabilmente anche tra i lettori di questo corso, ma io mi rivolgo a te che sei degno e che leggi senza livore, senza astio e senza spocchia.

Invece, a eventuali lettori che sono negli alti ranghi della politica o fra i “nani di periferia”, io confermo che descrivo cose vere e se qualcuno di essi fosse infastidito dai fatti che racconto ai cittadini degni, allora lo esorto a proporsi in contraddittorio, anche se so che la mia esortazione non verrà raccolta perché quei lettori sono i primi a sapere che si tratta di fatti veri che si reiterano negli anni.

Hai letto di ingerenze che la politica adotta per “incanalare” quotidianamente la vita dei cittadini, ma potresti non aver pensato che quella sorta d’invadenza della dimensione materiale, influenza anche la dimensione psicologica, relazionale e sensibile della vita.

È un po’ come se ti si volesse calare in una routine che confonde i tuoi punti di riferimento e la tua propensione a pensare.

Sì è fatto in modo che tu consumi grande parte della giornata dedicando sempre più energia al lavoro per trarne sempre meno soddisfazioni; poi, quando è il momento del meritato riposo, ecco che la tua mente è invasa da un oceano di preoccupazioni come la rata del mutuo, l’affitto, la pensione, la bolletta, le tasse, un triste senso di generale ingiustizia e questo e quel balzello che si avviluppano nella voluta e progettata scomparsa di ogni tua serenità.

In questo modo, è stata intimidita anche la tua personalità e tu sei preoccupato, nervoso e suggestionabile.

La tua capacità di progettare se ne va lentamente in fumo e la politica sa che con essa, se ne va in fumo anche la tua possibilità di contrastarla o combatterla con azioni di rivalsa popolare efficaci … lei non ha paura del tuo chiasso ma della tua capacità di organizzarti senza superficialità, dunque, ha fatto di tutto per inibirla.

La politica è la più complessa delle scienze e la democrazia, la nostra democrazia, punta a toglierti il cervello e l’anima.

 

 

Ti racconto la politica 11

(Iniziano i giochetti)

 

E’ normale, quando si desidera l’amore di una persona, fare di tutto perché quella persona possa giudicarci positivamente, stimarci e provare affetto per noi; è invece perverso circuirne la vita e operare una sorta di sequestro psicologico, culturale ed esistenziale per costringere o corrompere la sua attenzione.  

La concezione democratica dovrebbe portare i politici a cercare la stima del popolo per meritarne il consenso, invece, la nostra democrazia preferisce assicurarsi un stima estorta, comprata e sequestrata attraverso il plagio, la corruzione, la vessazione, il voto di scambio e anche la paura.

Insomma, la democrazia dovrebbe interpretare e rispettare l’espressione popolare ma la democrazia italiana fa tutt’altro.

Per iniziare finalmente a descrivere i “giochetti” con i quali la politica nostrana tradisce la fiducia del popolo, abbiamo dovuto spendere i primi 10 capitoli di questo corso.

Ci scusiamo per il tempo impiegato, ma, anche nel caso di lettori particolarmente intuitivi, sappiamo che la conoscenza vuole maturazione e che l’immediatezza non porta a capire molto.

In tema di politica, troppa gente confonde la suggestione con la conoscenza e parla senza sapere; se non ci fossimo intrattenuti almeno sui dieci capitoli precedenti, non avremmo la base necessaria, anche se minima, per capire come possano funzionare gli sporchi giochetti che stiamo per descrivere.

Come impegnati a redigere una sorta di manuale d’uso, nei primi dieci capitoli abbiamo tracciato le configurazioni che i partiti politici adottano per esercitare la loro prepotenza istituzionale in base agli assetti gerarchici e territoriali.

È il caso di prendere atto che c’è una sostanziale differenza tra politica e partitica e senza tirare in ballo chissà quali definizioni, è opportuno difendere la politica ricordando che i partiti sono strutture che la manipolano a loro piacimento, rinnegando spesso ogni etica.

Per rimanere comunque “in sella”, anche indipendentemente dal consenso popolare, i partiti politici attuano ogni nefandezza, dando così origine ai giochetti che ci accingiamo a descrivere fino nei particolari.

Il fine, ambiguamente mascherato anche dal solito linguaggio che accontenta i bigottismi e le fissazioni popolari, è quello di mantenere il controllo totale della società civile, delle istituzioni e del territorio.

Insomma, i giochetti ai quali ci riferiamo, altro non sono che il raggiro dei partiti per mantenere i privilegi di un potere deviato.

A questo punto, siamo pronti per capire la commedia dei congressi che, come affermato nel quarto capitolo, sono "la quinta più imponente di cui i partiti dispongono".

Nelle piccole realtà territoriali che abbiamo chiamato ripartizioni, si parla di assemblee, poi, salendo in dimensione, i congressi si suddividono in cittadini, provinciali, regionali e nazionali; in genere, il voto è procapite fino alla dimensione provinciale, mentre è espresso dai delegati, nei livelli regionali e nazionali.

Collochiamo adesso la nostra telecamera virtuale e prepariamoci a riprendere la farsa di un congresso tipo.

 

 

Ti racconto la politica 12

(I delegati)

 

Studia, leggi e medita; non nutrirti di illazioni! Emotività, suggestione, pregiudizio e veemenza non aiutano l’intelligenza.

la conoscenza è un sacrificio utile e non esiste strada veloce o gratuita che trasformi l’ignoranza in competenza.

Per darti un piccolo esempio, anticipo che nelle righe che seguono, si descrive cosa sia un delegato; in linea di massima, forse lo sai già, ma è improbabile che tu conosca i trucchi e le manfrine “congressuali” consumate dai partiti intorno a esso … ecco, leggi e saprai!

Conoscerai la figura del delegato e il ruolo “strategico” che ricopre.

Molto semplicemente, il delegato è una persona alla quale è conferito incarico di rappresentanza, nella fattispecie dei congressi, vota per altri.

Nei partiti politici, i delegati non sono semplici iscritti che portano il proprio voto e quello di un altro, ma sono dei super delegati che possono portare deleghe per centinaia se non migliaia di voti.

Va da sé che, in ordine ai “giochetti” accennati nel precedente capitolo 11, la faccenda dei delegati sia intricata.

Il congresso di un partito è un’assemblea che elegge i dirigenti del partito stesso.

Come detto nelle precedenti puntate, i congressi si svolgono a tutti i livelli territoriali. In genere, fino al livello provinciale compreso, il voto avviene procapite (ogni iscritto vota per sé), invece, nei livelli regionali e nazionali, il voto è per delega, votano cioè i delegati che sono stati in precedenza eletti nei congressi territorialmente inferiori.

In sintesi, i congressi territoriali minori eleggono i propri dirigenti locali di partito e anche i delegati al futuro congresso regionale che, a sua volta, eleggerà quelli nazionali.

Un delegato che si reca al congresso col suo carico di voti, è “prezioso”; capita pertanto che sparisca, che sia comprato, che abbia degli incidenti o, si badi bene, che metta in difficoltà un congresso intero.

Quanto precede, lascia immaginare come sia facile che nei congressi si concepisca il feto di quell’immoralità che uccide la dimensione etica del voto.

Lì, si gioca più potere che nelle elezioni pubbliche e si consumano abusi, inganni, ricatti, falsità, colpi di mano e reati che vengono incredibilmente avallati da un ipnotico linguaggio che richiama ai valori e al bene della società … ce ne occuperemo a fondo.

Nel capitolo 5, abbiamo visto che il totale dei tesserati ai vari partiti, è più o meno il 2% degli italiani e che metà delle tessere è falsa.

I conti sono facili: il 2% diviso due, vuol dire che l'insieme degli iscritti veri a tutti i partiti è ottimisticamente l’uno per cento degli italiani.

Approfondiremo nei futuri capitoli, ma ciò significa che perfino meno dell'uno per cento degli italiani, ha ragione sul rimanente 99%; una notizia scandalosa che nessuno racconta.

Ciao a tutti e alla prossima!

 

 

Ti racconto la politica 13

(Il motore e i suoi pezzi)

 

Chiami l’idraulico se perde il lavandino? Ti rivolgi al meccanico se non va l’auto, oppure al medico se stai poco bene? Certo, sì fa così; spero però che tu non sia tra coloro che quando si parla di politica, sanno sempre tutto come quelli che parlano di calcio al bar.

Pochi termini implicano, come quello di democrazia, il senso della partecipazione popolare, dunque, è difficile concepire un regime democratico nel quale il popolo non sappia come agire per farsi rispettare … eppure ciò accade.

Accade nei regimi che sono democratici solo nel nome ma oligarchici se non peggio, nei fatti e accade quando la preparazione politica popolare è tanto bassa da rendere il popolo incapace d’immaginare e pianificare azioni di rivalsa efficaci.

In questo corso, accusiamo la falsità della nostra democrazia, ma anche la scarsa perspicacia politica della nostra gente.

Circa l’assetto e il discutibile “stile” dell’ordinamento italiano che si etichetta come democratico, stiamo dedicando questi primi capitoli alla descrizione dei pezzi e del funzionamento di quel particolare motore che si chiama potere politico; un popolo che conosce in modo insufficiente i pezzi e il funzionamento di quel motore, non può essere in grado di fare diagnosi sul suo scarso rendimento né di “ripararlo”.

È necessario che ci dedichiamo ancora un po’ alla conoscenza di qualche altro particolare dell’ipotetico motore, ma non manca molto per poterlo finalmente “accendere” e capire come funziona.

È stato importante disegnare lo schema delle tre linee verticali del capitolo 1.

È stato importante schematizzare poi i livelli di parallelismo gerarchico e territoriale tra partiti e istituzioni.

È stato importante accennare agli “uomini di parrocchia” , ai “nani di periferia”, al tesseramento e le sue falsità, ai “postifici” e i suoi derivati, ai dirigenti di partito e ai delegati.

Prossimamente, parleremo di correnti di partito, “pacchettari”, “mercato delle vacche” e poco altro. Non manca molto all’assemblaggio dei vari pezzi per una prima messa in moto del nostro motore; insomma, tra pochissimi capitoli, assisteremo all’attesa apertura del congresso tipo che sarà ripreso in diretta dalla nostra telecamera virtuale.

Attendiamo da alcune puntate di essere spettatori di questo particolare talk show, ma non sarebbe stato facile capire lo scorrere delle sue immagini se non avessimo prima avuto qualche informazione su determinati fotogrammi.

È probabile che questi ultimi concetti contengano un’intrinseca risposta al perché gli attuali gruppi e movimenti popolari a tema politico, spesso emotivamente ed egocentricamente concepiti, non sappiano creare alcuna novità oltre il rinnovo della loro suggestione.

Il prossimo capitolo aggiungerà delle informazioni al meccanismo del tesseramento e fornirà qualche anticipo circa la messinscena mediatica dei congressi che, invero, si fanno prima a tavolino; i congressi di partito sono una grande e programmata farsa!

 

 

Ti racconto la politica 14

(Tessere, territorio e coercizione)

 

La vita brulica di “segnali" che si susseguono con ritmo incalzante; coglierli e capirli, è essenziale. Diversamente, si rimanere al buio come a non sapere aprire gli occhi; i segnali parlano anche più delle parole.

Questo corso è nato con lo scopo di dare informazioni sull’intrigato argomento della politica; è corretto che inviti alla riflessione ed è intrinseco che lanci dei segnali.

Il linguaggio non è fatto solo di parole ma comprende tante altre cose e tutte, proprio tutte, si manifestano tra numerose sfumature; l’invito a coglierle, è senza dubbio un invito onesto.

È più facile, comodo e immediato assecondare le suggestioni dell’apparenza … ma ciò rinchiude l’intelligenza in un recinto.

Le abitudini, gli apparati, i vizi, i meccanismi e i “veleni” della politica fin qui descritti, non esistono per caso e constano di una loro esteriorità, come di una sorta di dimensione occulta.

Ci siamo occupati del tema del tesseramento nei capitoli 5 e 6, ma ora che sappiamo qualcosa in più sugli assetti locali dei partiti, è opportuno aggiungere alcuni dati circa il rapporto tra iscritti e territorio.

A metà anni Cinquanta, in un’Italia che non raggiungeva i 50 milioni di abitanti, i cittadini iscritti a tutti i partiti erano quasi 4,3 milioni; oggi, con circa 62 milioni di abitanti, gli iscritti sono ben meno di 2 milioni.

Arrotondando per facilità di conti, sia pure per difetto e ponendo come riferimento una provincia di un milione di abitanti, si può considerare che in quell’area la somma dei tesserati a tutti i partiti, raggiunga un totale di 20.000 unità, compresa la metà finta (elenco telefonico, lapidi cimitero, eccetera).

È difficile crederlo, ma l'elenco reale degli iscritti non ce l'ha neppure la Polizia di Stato e può perfino accadere che voi stessi siate iscritti a un partito, come si usa dire, a vostra insaputa.

A parte le tessere false di cui ci occuperemo per dire a cosa servono, nella provincia in questione rimangono circa 10.000 iscritti reali che, considerando nel nostro esempio una decina di partiti, formano una media di 1000 iscritti (vivi) l’uno.

Le tessere sono più o meno proporzionali alle percentuali elettorali, dunque, nella nostra provincia in esempio, avremo il partito maggiore con circa 3.500 tessere vere più altrettante false, il secondo con circa 2.500 vere più altrettante false e così via fino al più piccolo che conterà due o trecento tessere tra vere e false. 

Per certi aspetti, sappiamo già che il potere che si gioca nei congressi supera quello delle elezioni pubbliche. Inoltre, scopriremo come le esigue quantità di tessere descritte, tracciano la politica di tutta la nazione. Nel tavolo che preordina ogni congresso, i pacchetti di tessere vere e false, sono volgari strumenti di coercizione … poi, la messinscena mostrerà “democraticamente” al pubblico, ciò che vuole.

 

 

Ti racconto la politica 15

(Le correnti)

 

La suggestione espone al plagio e certa politica ne approfitta per “imprigionare” più cittadini che può, lasciandoli convinti d'essere liberi.

La politica ha gli strumenti per modellare, gestire e controllare anche l’angolo più remoto della nostra vita; proprio così, anche il più remoto.

Non va confuso col cosiddetto “politichese”, ma esiste un linguaggio della politica che si rivolge all’ingenuità della suggestione popolare. Esso adotta il migliore “vocabolario dell’ipocrisia”, insieme a una sorta di ipnosi con cui riesce a presentare certa indegnità, come valore umano e bene della società.

Il termine “correnti” richiama  anche al movimento dell’acqua.

La metafora si adatta alla realtà dei partiti; infatti, dal più piccolo al più grande di essi, le cosiddette correnti d’opinione e di pensiero si muovono sempre e non mancano mai.

“Correnti d’opinione e di pensiero”, è proprio così che le chiama l’accennato vocabolario dell’ipocrisia, mentre le descrive come la ricchezza democratica della molteplicità dei punti di vista intorno a un tema.

Si tratta invece della suddivisione in maniacali aggregazioni di potere che si muovono, alla stregua di piccoli fiumi dentro i fiumi, nei grandi agglomerati del potere stesso.

Ogni dirigente periferico di partito, si “riconosce” in una corrente che fa riferimento a un dirigente nazionale e ne fa parte con la sua squadra locale di “uomini di parrocchia”, “nani di periferia”, “delegati”, “pacchettari”, “gestori del voto di scambio” e altri “personaggi” dei quali abbiamo già parlato e parleremo ancora.

È in questo modo che dirigenti e squadre locali aggregano le loro acque ai fiumi, grandi e piccoli, delle correnti nazionali.

Il capetto locale avrà così la protezione di un capo nazionale che godrà, a sua volta,  di più appoggi locali, compresa la scelta dei delegati “eletti” che si porteranno al congresso nazionale dai congressi periferici; il sistema organizzativo è efficace, ma il fine è di salvaguardare e sfruttare individualmente i più iniqui privilegi del potere.

L’ostentata gestione unitaria dei partiti, l’uno per l’altro, è una bufala che accompagna da decenni la storia della Repubblica italiana.

I partiti politici hanno venduto l'anima e si differenziano tra loro per poco o nulla. Adoperano l’accennato vocabolario dell’ipocrisia, per dare sembianza di dottrina culturale, sociale e talvolta ideologica, alla fogna che sono diventati e per raccogliere i consensi dei cittadini che s'illudono ancora di votarli per presunte affinità di vedute e di pensiero.

Le descritte correnti non arricchiscono di dialettica democratica i partiti, ma arricchiscono sé stesse dei privilegi di un potere ignobile.

Con le correnti, abbiamo descritto un ulteriore elemento di coercizione della vita di partito e dei i congressi che, come sappiamo, ricorrono poi al toccasana della messinscena.

Chi s’iscrive in un partito per portare il proprio onesto contributo, cadrà facilmente nella pancia della corrente che lo ingoierà per primo. I partiti sono solo degli strumenti; il crimine sta nell’uso che se ne fa.

 

 

Ti racconto la politica 16

(Realtà e linguaggio)

 

La superficialità  uccide e se nel destino del mondo non c’è scritto che sarà possibile vivere anche senza la conoscenza, allora l’essere umano va a uccidersi senza capire che va a uccidersi.

La faciloneria popolare avalla la politica peggiore e ciò potrebbe spiegare perché viviamo i tempi che viviamo. 

La conoscenza delle cose è cultura e la cultura è il seme della vita più lento a crescere. A Dio piacendo, c’incontreremo in questo corso per un centinaio di appuntamenti a cadenza settimanale; dunque, abbiamo tempo.

Nel precedente capitolo 15, abbiamo accennato all’utilizzo che la politica fa di certi “vocabolari” e alla vita che è piena di codici e segnali.

A questo punto, può essere utile dedicare una breve riflessione all’uso del linguaggio.

In sintesi, il linguaggio, quello delle parole, è una comunicazione che va dal cervello alla lingua, la prima fase avviene dentro di noi ed è detta enunciato, la seconda, quella che esterniamo, è detta enunciazione; il passaggio tra le due fasi, si chiama débrayage (cambio).

Più si parla per immediata emotività, magari nell’illusione d’essere concreti e meno tempo si dà al cervello per riflettere e capire.

Ferdinand De Saussure, padre riconosciuto della linguistica moderna, afferma in modo incontrovertibile che il linguaggio sia una convenzione e che, pertanto, nessuna singola parola debba prestarsi a un’interpretazione soggettiva.

Del resto, a spingere verso l’interpretazione soggettiva, anche quando fa incappare in facili “tagliole”, provvedono per loro natura le locuzioni, ovvero gli insiemi di parole. 

È assai raro che si sia testimoni diretti dei fatti dei quali si viene a conoscenza, dunque, la realtà è prima di tutto una rappresentazione.

Insomma, se un albero cade nella foresta, nessuno lo sa, ma appena la telecamera lo riprende e il giornalista ne parla, allora il mondo viene a sapere che l’albero è caduto.

Da questi pochi concetti, possiamo capire cosa sia l’informazione e quale carico di responsabilità porti con sé, tuttavia, se è fondamentale che il racconto rispetti alcune regole, è anche fondamentale che il lettore ricordi di possedere un’intelligenza che può permettergli di capire perfino ciò che, talvolta e non per caso, capita che sia scritto “tra le righe”.

In entrambi i casi, cioè quando si racconta e quando si legge, è necessaria una forte libertà dalle fissazioni, dai luoghi comuni e dalla propensione alla suggestione; questo non è un invito a rinnegare la parte sensibile o artistica di ciascuno, ma un allarme per non abusare della suggestione fino a inibire la ragione.

L’emotività amputa l’intelligenza popolare e ciò porta affluenza di imbonitori alla politica.

Chi possiede la ricchezza della voglia d’imparare, sa carpire la differenza che in politica come nella vita, corre tra una strategia efficace e un progetto effimero … la libertà e la democrazia non sono per caso.

 

 

Ti racconto la politica 17

(Una democrazia offesa)

 

Un Popolo ha il dovere di spegnere l’ordinamento politico che vuole spegnerlo.

L’Italia è alla mercé di non pochi parassiti “eletti” che intendono la politica come la sistemazione della loro esistenza a spese del popolo.

La maggiore preoccupazione di tali individui, sembra quella di accalcare leggi, decreti e regole per tutelare sé stessi in modo ingordo e praticamente totale.

Che dire inoltre delle cosiddette prebende di cui nessuno, fuori del “palazzo”, conosce il numero esatto ma che offrono gratuitamente ai citati parassiti, un’infinità di cose che tutti gli altri invece pagano?

Le iniquità accennate, costituiscono solo una parte dell’oceano delle nostre storture istituzionali, ma sono sufficienti a oltraggiare ogni concetto di democrazia.

Non si tratta di devianze improvvisate, ma di un’anziana perversità che si è lentamente radicata in troppa parte della dirigenza politica del nostro Paese.

Opporsi a tali scelleratezze, è cosa complessa che non può essere affidata al chiasso, all’improvvisazione o all’incompetenza. Fornendo ragguagli sui meccanismi che “assistono” il proliferare degli accennati vizi, il presente corso spera di privilegiare le strategie politiche popolari mosse dalla conoscenza e non dalla suggestione.

I dati riportati nel capitolo 14, relativi alla provincia campione di un milione di abitanti, potrebbero sottendere una lieve generosità circa la quantità d’iscritti attribuiti ai partiti politici; in questo modo, non è stato offerto il fianco all’eventuale accusa di avere operato delle approssimazioni per difetto. E’ invece importante che si sia descritto come si origina e struttura quell’1% di popolo che decide ogni cosa in luogo del rimanente 99% e poco sarebbe cambiato se, perfino più verosimilmente, avessimo parlato dello 0,9% che decide in luogo del rimanente 99,1%; in ogni caso, la nostra democrazia è volgarmente stuprata e offesa.

Gli abusi descritti, trovano adepti nelle vigenti strutture di partito e queste, sebbene diverse per dimensione e presunta concezione organizzativa della società, non si differenziano per quanto riguarda la facilità con cui permettono di oltraggiare il vivere comune.

I partiti politici, occorre ricordarlo, sono lo strumento costituzionale per portare le istanze popolari nelle istituzioni. Il popolo è però riuscito a non contare nulla e a non rimanere “proprietario” di nessuna struttura di partito; ciò, come spesso ripetiamo, è grave perché il potere politico deviato non teme un popolo chiassoso, ma un popolo che sa organizzarsi.

In tale realtà, si sono formate istituzioni che invece di porsi al servizio dei cittadini, costringono i cittadini a servirle.

L’ordinamento politico di cui in apertura, ha voluto un popolo politicamente impreparato ed è riuscito a costruirlo.

La soluzione non può essere l’incompetente impetuosità di improbabili rivoluzionari, ma un popolo che, ritrovata la fiducia nella preparazione e nel senso di squadra, sappia organizzarsi in una struttura di cui non smarrirà le finalità né il possesso.

 

Post scriptum - Nel prossimo capitolo, parleremo dei cosiddetti “pacchettari”.

 

 

Ti racconto la politica 18

(I pacchettari)

 

Qual è l'intelligenza di un popolo che continua a ripetere che uniti si vince, mentre perde miseramente perché non fa altro che dividersi in mille rivoli?

Esisterà chi lo batte nell’incapacità d’impedire che la gestione della cosa politica finisca anche nelle mani d’impostori che intendono l’evoluzione culturale della gente come un elemento che destabilizza i loro privilegi?

Decine di milioni di persone sono un grande popolo, poche migliaia di politici malandrini di vario livello, sono comunque un piccolo potere; gli italiani sono un grande popolo che non capisce ancora come opporsi a un piccolo potere.

È sotto gli occhi di tutti che l’apparato politico che ci amministra, vada perdendo per strada dei pezzi di consenso popolare; la situazione è però tale da permettere al medesimo apparato di utilizzare fiumi di denaro pubblico per comprare suffragi attraverso la costosa struttura del voto di scambio.

Ciò non ti piace? Non sai difenderti; è così.

Nella complessa filiera dei meccanismi che portano al controllo della democrazia e perfino del voto pubblico, i cosiddetti “pacchettari” sono un elemento d’indegna ma determinante importanza. Nel gergo, il termine pacchettaro può sembrare banale, tuttavia si tratta di uno degli elementi che inquinano la democrazia.

Per capire cosa sia un pacchettaro, è opportuna una veloce ripassata dei capitoli 5 e 6, nei quali abbiamo trattato il tema del tesseramento e dei capitoli 8 e 14, nei quali abbiamo accennato al rapporto tra partiti politici, tessere e territorio.

Ribadiamo l’importanza d’intuire bene cosa siano e a cosa servano i congressi dei partiti; diversamente, piaccia o no, non sarà dato di capire come sia possibile pilotare la democrazia.

Come sappiamo, i congressi “eleggono” i dirigenti dei partiti; quando arriva la data di un congresso, è già operante da qualche settimana una sorta di “tavolo” intorno al quale si siedono coloro che preordinano ciò che il congresso fingerà poi di votare democraticamente.

Non esiste statuto di partito che contempli la figura del pacchettaro, ma il pacchettaro esiste a destra, a sinistra, in alto, in basso e in centro; è ignobile, ma è ovunque.

Ricopre spesso il ruolo di delegato a questo o quel congresso e dà il suo pacchetto di tessere, in dotazione al “capocorrente” al quale fa riferimento.

Ogni capocorrente può disporre di più pacchettari e siede, con altri attori dei quali parleremo, intorno al tavolo che preordina i congressi.

Fatti salvi gli iscritti spontanei che pur sempre esistono, il pacchettaro fornisce al capocorrente di riferimento, le tessere degli iscritti a “loro insaputa” che trae dagli  elenchi telefonici e simili, le tessere degli iscritti già passati a miglior vita che trae dalle lapidi del cimitero e le tessere degli intruppati col voto di scambio.

Nel tavolo che preordina i congressi, i pacchetti di tessere hanno peso.

Al pacchettaro servono soldi e potere ma, un po' per volta, scopriremo tutto.

 

 

Ti racconto la politica 19

(Vedi tu!)

 

Il precedente n.18 “I pacchettari”, non è esaurito; lo riprenderemo alla prossima puntata. 

Nel preparare questo primo capitolo del 2016, vengono spontanee alcune riflessioni.

Esprimo riconoscenza per il grande numero di visualizzazioni, “Mi piace”, “Share” e divulgazioni in genere, che ricevono le puntate di questo corso.

Giacché si alternano capitoli d’analisi a capitoli prettamente tecnici, può accadere  che l’analisi predisponga a una lettura più spontanea, però anche la descrizione tecnica dei particolari di meccanismi sconosciuti, aiuta a capire il funzionamento dell’insieme.

La conoscenza vuole sacrificio ma, vivere senza, espone al calvario della superficialità.

Non è detto, caro lettore, che le parole che seguono ti riguardino direttamente; deciderai da solo se avranno a che fare con te o no.

Sono parole che, in tema di politica, riguardano una grossa parte del popolo che vive fuori del palazzo del potere e può statisticamente accadere che nella citata “grossa parte” ci sia anche tu; in tal caso, potresti avere qualche colpa.

La gente italiana è trattata male. È umiliata, sfruttata, vessata e offesa da truffatori talvolta protetti dalle stesse strutture dello Stato, quando non ne fanno addirittura parte.

So che su questo punto siamo d’accordo, ma ora cerchiamo di capire se anche tu, quale normale cittadino,  non abbia un po’ di colpa.

Potremmo percorrere un’analisi storica, ma qualora fossi tra coloro che non amano leggere né ascoltare, scelgo di rimanere nel contemporaneo per non stizzire la tua noia.

Dicevamo che sono le stesse strutture pubbliche a maltrattare la gente italiana; talvolta direttamente e talvolta avallando comportamenti truffaldini di forti organizzazioni di vario tipo, come per esempio quelle di gestione di servizi, assistenziali, commerciali, finanziarie e molte altre.

Sono insomma tanti i frequentatori del famigerato palazzo che portano la macchia di maltrattatori del popolo, però allo stesso popolo si può porre una domanda.

Cosa sai fare, caro popolo, per opporti alla criminale vessazione che ti opprime?

E giacché, caro lettore, il quesito riguarda ogni normale cittadino che non frequenti quel palazzo, chiedo la stessa cosa anche a te.

No, per cortesia, non cominciamo con le solite idee sconclusionate dei visionari e con l’inutile chiasso con cui le circondano!

La superficialità politica popolare ci sta ammazzando e se nel futuro non c’è scritto che potremo vivere anche senza la competenza, allora ci stiamo uccidendo senza capire che ci stiamo uccidendo.

"Can che abbaia non morde", dice l'adagio e non capendo neppure questo, molti credono di combattere le vessazioni politiche, abbaiando alla luna.

Come ipnotizzato dalle sceneggiate, il popolo ha permesso all'emotività di battere la ragione e soddisfatto dalla coreografia politica del nulla, si comporta come un medico che affronta Ebola con la Tachipirina.

Confondendo lo sfogo con la strategia, il nostro dissenso popolare ha saputo rendersi ridicolo. Non sarebbe il caso di capirlo e invertite marcia?

Naturalmente, BUON ANNO!

 

 

Ti racconto la politica 20

(Ancora sui pacchettari)

 

Certi italiani usano la competenza politica come la marmellata, meno ne hanno e più la spandono.

Un semplice concetto esistenziale per qualsiasi potere politico che voglia mantenersi al “comando”, indipendentemente dal desiderio o dalla capacità di meritare il consenso popolare, recita che più un popolo brancola in una vita difficile e priva di certezze e più è facilmente corrompibile.

Non è un caso se l’Italia è ridotta com’è ridotta;  tale realtà calza col concetto di cui è cenno sopra, relativo a un apparato che vuole rimanere nei ranghi del potere, a prescindere dal consenso popolare che, tra l’altro, anche se in parte, sa come pilotare.

All’emotivo popolo italiano basta fornire delle suggestioni per poi fare in tranquillità, cose diverse da quelle dichiarate.

In tale andazzo, la funzione del “pacchettaro”, la cui descrizione comprende anche il capitolo 18 del presente corso, è ovvia.

Il pacchettaro non occupa mai cariche alte e statutariamente non esiste.

Dal punto di vista territoriale, l’esistenza di pacchettari regionali o nazionali non ha senso, è invece “utile” la schiera dei pacchettari comunali e provinciali.

Come già affermato, il pacchettaro ha dei punti di riferimento che sono i “capicorrente” che, a loro volta, sono dirigenti di partito importanti.

Il rapporto tra capocorrente e pacchettaro, può essere sintetizzato in una sorta di discorso diretto come quello che segue.

Dice, rigorosamente a quattr’occhi, il capocorrente: “Come va?”

“Non posso lamentarmi - risponde il pacchettaro.”

“Mi fa piacere - riprende il capocorrente. Il tesseramento è aperto e abbiamo tre mesi per chiuderlo; tu confermi i soliti iscritti?”

“Certo! Veri, falsi, vivi e morti.”

“Nella nostra provincia - dice il capocorrente -  siamo i soliti. Io, il segretario provinciale, l’onorevole Pinco Palla, l’amico del nostro ministro e il Sindaco. I tesserati sono 3200; metà veri e metà finti come al solito, ma Pinco Palla ne ha quasi 1300 e si prende sempre il 40% degli eletti dal congresso. Riusciamo a portare le nostre tessere da 640 a 800? Sai, se passiamo dal 20 al 25 per cento, riusciamo a piazzare quel nuovo amico.”

“Ok - dice il pacchettaro - per un centinaio d’iscritti veri, chiederò aiuto al nuovo amico e per il resto, ahahah, farò un giretto al cimitero e tra i campanelli di qualche condominio. La tessera costa quindici Euro, ma c’è sempre qualcuno che la paga.”

“Non preoccuparti - riprende il capocorrente - io ti do in contanti i dodicimila Euro delle 800 tessere, più la mancia … poi, ti metti in tasca gli altri soldi che riesci a prendere.”

“D’accordo, faccio le fotocopie del modulo d’iscrizione, mi metto in moto e alla fine porto tutto all’ufficio amministrativo del partito.”

“Non lavorare troppo di fino - conclude il capocorrente - presi i soldi delle tessere, l’ufficio amministrativo non guarda nient’altro”.

Che dire? Questa puntata si chiude qui.

 

 

Ti racconto la politica 21

(Il mercato delle tessere)

 

La politica dei partiti è un gigantesco “mercato delle vacche” ma, nel gergo, tale definizione si riferisce a trattative che avvengono per lo più intorno al tavolo del preordino dei congressi, del quale abbiamo accennato qualche volta.

E’ bene, dunque, non confondere il mercato delle tessere che è l’oggetto del presente capitolo, col cosiddetto mercato delle vacche che sarà il titolo di un capitolo abbastanza prossimo.

L’istituto della tessera dà parvenza democratica alla messinscena dei congressi, ma è in realtà un oggetto di corruzione che stabilisce il rapporto di forza tra le correnti o anime che esistono dentro ogni partito.

Il popolo fa fatica a capirlo, ma i congressi danno genesi a infiniti poteri; dedicheremo più capitoli a svelarne i “veleni”, ma ricordiamo che essi hanno la potente funzione di “eleggere” i dirigenti di partito.

Per esempio, il segretario nazionale del partito di maggiore minoranza è “eletto” dal congresso ma è anche colui che riceve il mandato di formazione del governo e che, salvo particolari “iatture”, diventa Presidente del Consiglio.

Questo semplice esempio spiega come da un congresso si diramino mille poteri.

Non si confonda il gioco di potere dei congressi, con la favola della regola democratica; magari, si ridia un’occhiata allo “schema” disegnato e descritto nei primi due capitoli del presente corso.

Nella provincia esempio di un milione di abitanti (capitolo 14), abbiamo visto che un partito di ragguardevoli dimensioni, può contare mediamente 3.500 iscritti veri, più altrettanti finti, per un totale di 7.000. Il costo della tessera è stabilito da ogni partito e va da pochi Euro a qualche decina.

Poniamo un partito che fissi l’iscrizione in 20 Euro annui; in questo caso, nella provincia esempio, avremo un tesseramento del valore di 140.000 Euro (20 Euro per 7.000).

Nel capitolo 5, abbiamo letto di elenchi telefonici e lapidi del cimitero; potremmo aggiungere la pulsantiera di qualche condominio e cose simili ma il senso di ciò che intendiamo, è chiaro.

È ovvio che morti e “iscritti a loro insaputa” non paghino la tessera, tuttavia i correlati 70.000 Euro, più o meno la metà del totale, entrano ugualmente nelle casse del partito.

L’altra metà è relativa alle tessere vere, ma ciò non vuol dire siano tutte pagate dai rispettivi titolari … la tessera omaggio facilita la mediazione. Chi s’iscrive e paga c'è, ma non è certo grande cosa.

Dai parenti, agli amici, ai conoscenti ai quali chiedono il piccolo favore dell’iscrizione, di cui “terranno conto”, i signorotti del capitolo 8 sono anche dei "vicepacchettari" che si recano ogni anno col loro carico di trenta o quaranta tessere a testa, dalla periferia verso i pacchettari provinciali veri. La soddisfazione economica delle poche decine di tessere dei vicepacchettari, non è granché, ma un po’ d’attenzione da parte del potere politico periferico locale, fa da incentivo …

Viva l’Italia!

 

 

Ti racconto la politica 22

(Parlamentari pacchettari)

 

S’intenda o no, il partito politico è lo strumento costituzionale per rappresentare l’istanza popolare nelle istituzioni dette democratiche. I dirigenti di partito dispongono dei partiti e capita che li adoperino per rappresentare l’istanza popolare un po’ come ne hanno voglia; questa, senza impegnare la fantasia nei soliti “voli interplanetari”, è una realtà semplice da capire.

I dirigenti di partito sono eletti dai congressi e i congressi sono momenti di voto, percentualmente infinitesimali, a volte perfino più determinanti delle elezioni pubbliche; c’è però un popolo che non lo sa e che si sente forte, perché si descrive come “apolitico”.

Dai piccoli centri di periferia che abbiamo già chiamato ripartizioni, per non usare un termine preso in prestito da questo o quel partito, i signorotti del precedente capitolo 21, s'incamminano verso i pacchettari provinciali di riferimento.

S’incontrano, si chiudono in una stanza, tirano fuori le domande d'iscrizione compilate in qualche modo, fanno i conti e … tanti iscritti, tanti soldi.

Fatti “sparire” gli appunti, il pacchettaro consegna il corrispettivo in denaro al signorotto di periferia che abbiamo iniziato a conoscere nel capitolo 8.

Pochi minuti e la faccenda è liquidata nella discrezione tipica dei discorsi a quattr’occhi.

È raro che detti incontri avvengano nelle sedi dei partiti ma, chi in un posto e chi in un altro,  tutti i signorotti di periferia incontrano, sempre a quattr’occhi, i loro pacchettari di riferimento; si tratta di un piccolo viavai che si concluderà entro la data di chiusura del tesseramento.

Come già sappiamo, non esiste un solo statuto di partito che contempli i pacchettari; del resto, fatta salva la forma, gli statuti “allettano” un po’ come vogliono.

Poche cose sono incorporee come gli elenchi degli iscritti ai partiti e non è raro che, pur essendo iscritti, non si riceva fisicamente la tessera; descriveremo gli arzigogoli del cosiddetto banco della “verifica poteri”, quando controllerà i diritti congressuali di ciascuno.

È incredibile quanto si giochi a non dare notizie appellandosi nei modi più cavillosi, alla “storia” della privacy che è talvolta usata come una sorta di omertà di Stato.

Le ricevute delle iscrizioni rilasciate dal competente ufficio del partito, sono adesso nella tasca del capocorrente che le userà per avere forza quando siederà al tavolo del preordino dei congressi.

In conclusione, il controllo delle tessere (vere e false), passa dai cinque o sei pacchettari di riferimento, alle "correnti" di cui al capitolo 15.

Cosa fa l'ufficio addetto al tesseramento del partito? Nulla, non pone né si pone domande; se tornano i conti tra soldi e moduli d’iscrizione, tutto è ok.

Chi sta dietro a tutto questo? Dietro a tutto questo, ci sono “precisi” parlamentari del pertinente collegio elettorale e “precisi” dirigenti provinciali del partito.

Il tavolino che “orienta” il congresso prima del congresso, è quasi pronto. Il prossimo capitolo s’intitola “Seduti al tavolino”. 

 

 

Ti racconto la politica 23

(Seduti al tavolino)

 

La conoscenza “in breve” non rende competenti; in futuro sarà diverso, ma oggi non è ancora possibile infilarla nella testa della gente come si fa con i file nei computer. La semplicità rende bella l'anima ma non arricchisce la conoscenza né l’esperienza; insomma, la vita può anche essere affrontata in modo semplice, ma ciò non toglie che essa chieda di capire cose complesse … poi, se si confonde la semplicità con la superficialità, allora sono guai.

I ventidue capitoli fin qui scritti, costituiscono una sorta di base per inoltrarsi nei successivi argomenti del presente corso.

Naturalmente, è sempre fatta richiesta a presidenti, ministri, parlamentari, segretari, dirigenti e quanti altri, di segnalare ed eventualmente dimostrare che non sia pertinente al vero quanto qui si descrive, racconta e afferma.

A testimonianza di una democrazia spesso travisata, non esiste un solo statuto di partito che menzioni i pacchettari, i capicorrente e i tavolini che “pilotano” i congressi; ci sono anche altri “casi” che gli accennati statuti non contemplano, ma prendiamo intanto atto di questi.

Le “qualifiche” per sedersi intorno al più volte menzionato tavolino del preordino dei congressi, non sono tante ma senza esse a quel tavolino non ci si siede.

In breve, ciascuno dei convenuti dovrà avere il controllo del suo bel pacchetto di tessere e conoscere bene ogni particolare dello schema delle tre linee parallele (Partito, Istituzione e Sottobosco), che abbiamo disegnato nei capitoli 1 e 2 di questo corso.

Il pacchetto di tessere serve per avere riconosciuta la corrispondente percentuale di controllo del partito; poi, la perizia nel districarsi tra la miriade di ruoli e cariche che le note tre linee rappresentano, permetterà di trasformare detta percentuale in pari assegnazioni preventive tra posizioni nel partito, nelle istituzioni e nel sottobosco, sulle quali il convenuto al tavolino vorrà “allungare le proprie mani”.

Alla fine, il tavolino avrà stabilito quali dirigenti del partito saranno rinnovati dal congresso e quali  riconfermati come “a vita”; così come avrà stabilito i nomi di chi “correrà” per le istituzioni parlamentari, in base all’ovvia corrente di riferimento.

Inoltre, avrà “scelto” dei dirigenti e anche dei funzionari di ruoli secondari relativi al “sottobosco”, ovvero alle pubbliche amministrazioni periferiche e a tutte le attività alle quali la mano pubblica può in qualche modo porre condizioni. 

Detto tavolino si riunisce anche nelle sedi di partito, ma sempre e rigorosamente a porte chiuse; le poche sedie intorno, sono riservate a “precisi” parlamentari del collegio, al segretario, coordinatore o primo riferimento provinciale del partito e a pochissimi alti dirigenti istituzionali. Abbiamo intuito la funzione del tavolino e ne intuiremo altre, ma lì nessuno parla di ciò che interessa al popolo.

Dalla povertà al rosario delle vessazioni istituzionali, come dall’ignominiosa burocrazia ad altre mille ingiustizie, sembra che di tutto ciò a quel tavolo non gliene freghi nulla.

 

 

Ti racconto la politica 24

(Concreto e subito?)

 

Nei capitoli che precedono, sono stati descritti non pochi meccanismi che i partiti usano in totale disonestà; ciò offende il popolo, ma non lo assolve da certe colpe. Per esempio, quando ha creduto di leggere la politica decidendo di vederla in “bianco e nero”, ha fatto un grave errore. Molti hanno pensato d’avere scoperto la teoria del “concreto e subito”, ma in realtà hanno messo il cervello come in una sedia a rotelle, negandogli la naturale possibilità di trasformarsi un po’ per volta in mente.

In una sorta di metafora, hanno snobbato il signor grigio che chiedeva d’inserire le sue sfumature nella tavolozza dei colori ed erano così convinti della loro banale semplificazione, che non hanno ascoltato neppure il signor verde che si avvicinava insieme ai signori azzurro, giallo e altri che avrebbero stimolato maggiore estro. Quei grigi, quei colori e quelle sfumature erano l’intelligenza, la conoscenza, la strategia, l’arte, la cultura, la curiosità, l’umiltà, lo stile, la passione, la pazienza, la competenza e l’ingegno che chiedevano a presuntuosi e narcisisti  di non atrofizzare il cervello.

Gli “illuminati” del concreto e subito, ripetono col ritmo dell’ossessione che contano i risultati, ma non capiscono quali guai procura la confusione tra i risultati della correttezza e quelli della suggestione e della prepotenza.

Il bene del popolo, il rispetto e la democrazia erano i nobili concetti sui quali nasceva la nostra Repubblica.

In essa si confrontavano ideologie che proponevano percorsi diversi, ma che erano accomunate dal senso del bene della società che doveva crescere tra insegnamenti corretti e buoni esempi.

Anche lì si cercavano i fatti, ma si puntava a costruire un apparato degno senza scindere i fatti dai doveri della correttezza.

Decennio dopo decennio, però, una non meglio identificata concretezza si lasciò ingannare da risultati tutt’altro che corretti.

Infinite pagine di storia parlano di questo, ma ciò che è successo si può sintetizzare in poche righe.

Giorno dopo giorno, sulla costruzione dell’apparato dello Stato, ha messo le mani un potere che ha preferito vivere alle spalle del popolo, invece di rispettarlo.

Tali gestori di quest’infame democrazia, si sono destinati privilegi, ricchezze e vizi d’ogni tipo e oggi, per mantenere la loro cosiddetta “sedia”, non hanno scrupoli a impiegare qualunque prepotenza.

I partiti non rappresentano più l’istanza popolare nelle istituzioni parlamentari, ma sono ignobili strumenti che non pochi politici di ruolo adoperano per vivere alle spalle di un popolo impulsivo e ingenuo che sa rendersi e che è reso sempre più impotente.

Se una rielezione, riconferma o rinomina comporta un tot di voti, sarà adottata ogni prepotenza per costringere quel tot di voti all’indirizzo stabilito; se questi sono i risultati, io non partecipo alla loro costruzione. 

L'istituzione dello Stato e molti sedicenti leader politici, non sono entità trascendenti e non c'è obbligo d'amarli se non meritano stima.

 

 

Ti racconto la politica 25

(Acume e salamelecchi)

 

Nel mito del "Vaso di Pandora", Prometeo (colui che pensa) ed Epimeteo (colui che pensa in ritardo) ci raccontano come gli irruenti abbiano ricoperto di disgrazie il mondo; la politica popolare non dovrebbe più seguire alcun Epimeteo.

Molta gente confonde il confronto dialettico con la polemica e si crede forte perché non perde occasione per essere soffocante e maleducata; il linguaggio cosiddetto “concreto” che ne deriva, è in realtà l’incompetente semplificazione dei saccenti.

L’intelligenza può appartenere a buoni e cattivi ma, in Italia, sembra che gli ambienti malavitosi e della peggiore politica, ne facciano più uso degli ambienti popolari.

Non c’è contesto intollerante e presuntuoso in cui si possa trovare accordo.

Nel confronto tra interlocutori “grezzi” e interlocutori “raffinati”, saranno quelli raffinati a governare la situazione; nel confronto tra parti raffinate, vigerà un linguaggio intelligente.

Ci occuperemo del cosiddetto “politichese”, ma potrebbe essere utile non bollarlo, sic et simpliciter, con i soliti luoghi comuni popolari.

L’uso dell’intelligenza dà maggiore accesso alla conoscenza ma il linguaggio che non mette in contatto la lingua col cervello, non favorisce scambi utili.

Forse, la democrazia è la luce di una società che sa uscire dal buio dell’ignoranza.

Il popolo subisce forti vessazioni ma le semplificazioni di cui s’illude, non possono aiutarlo.

Sappiamo da qualche capitolo, che nessun partito è unitario e che le divisioni non avvengono secondo le magnificate dialettiche sulla varietà dei punti di vista, ma per giochi di potere; ciò chiama l’intelligenza a scegliere atteggiamenti e linguaggi che non procurino litigi prima delle soluzioni.

Come dicevamo, l’intelligenza può appartenere a tutti ma sembra che in Italia ne facciano più uso gli ambienti eticamente peggiori.

Abbiamo già letto che nei partiti le divisioni si chiamano "correnti"; dal capitolo n. 23, i loro capi sono seduti al tavolino del preordino dei congressi.

In genere, indipendentemente dalla dimensione del partito, le correnti sono tre o quattro in tutto. 

Poniamo che intorno al noto tavolino, siano seduti quattro capicorrente che rappresentano 6.000 tessere tirate in piedi come sappiamo.

I lavori sono stati avviati tra cordialità e salamelecchi che hanno il fine di avvicinare con lentezza il tema; quindi, dopo un tempo non proprio breve, qualcuno prende la parola e dice: "Vanto la partecipazione democratica e la solidarietà di 2350 generosi iscritti".

Traduzione: "So arraffare più tessere di voi, dunque, comunico l'elenco dei candidati che il congresso eleggerà per me".

La forma raffinata sottende comunque una sostanza chiara, ma negli ambienti “acuti” si evita la lite e si sanno prendere accordi perfino su questioni criminali, invece negli ambienti popolari si litiga su tutto anche se si discutono temi onesti. In base agli accordi del tavolino, il congresso voterà una lista unitaria o due liste concordate o più liste contrapposte o altro; ne parleremo. Il prossimo capitolo sarà intitolato: “Il mercato delle vacche”.

 

 

Ti racconto la politica 26

(Il mercato delle vacche)

 

I congressi dei partiti, da qualche decennio, sono appellati come “mercati delle vacche”.

La politica di regime ha compiuto un semplice inganno: ha creato una sorta d’immagine riflessa di se stessa e indotto il popolo a braccarla laddove non è.  

Il nostro cosiddetto “sistema democratico” spinge i cittadini a credere che i fatti siano quelli che fa vedere; del resto, è abile a presentare le cose con la “facciata” che vuole.

Come in un’idolatria dell’empirismo e dimenticando che la percezione sensoriale porge i dati alla mente che li elabora, molti scelgono l’illusoria scorciatoia di conclusioni che l’emotività non lega alla ragione.

In politica ci sono cose complesse da sapere, ma è grave assecondare la frenesia di chi crede che si possano capire subito, come d’impulso.

Travisando il concetto di “concreto e subito”, molti s’infilano nella pietosa situazione di sentirsi liberi mentre subiscono il plagio.

Non pochi vivono l’ipnosi di termini come solidarietà, assistenza, cooperazione e altri riportati in quella sorta di vocabolario del bigottismo politico-sociale, tanto abusato dalla mano pubblica per truffare il cittadino.

Affetto da suggestione e un po’ di smarrimento, c’è un popolo che pubblica, copia e incolla, divulga, manifesta, urla e si dimena, credendo di opporsi con l’improvvisazione e l’ansia, al freddo cinismo politico che l’opprime.

Non è così ed è anche per questo che qui cerchiamo di svelare uno ad uno, luoghi, angoli e meandri in cui il potere stabilisce tutto, proprio tutto, senza curarsi delle aspettative popolari.  

Questi capitoli hanno più volte ripetuto che i congressi dei partiti sono momenti di voto anche più determinanti delle elezioni pubbliche.

I dirigenti di partito fissano ogni ruolo e carica; stabiliscono cioè chi diventerà presidente della Repubblica, primo ministro, ministro, parlamentare, presidente o assessore o consigliere regionale o provinciale, sindaco, assessore o consigliere comunale, presidente o membro di commissione, presidente o membro del consiglio d'amministrazione di questo o di quell'ente … fino a tutte le diramazioni del cosiddetto "sottobosco" del quale abbiamo scritto nel capitolo n.1.

Inoltre, tramite vari capigruppo d’ogni livello, i dirigenti di partito hanno ingerenza fino alla più piccola delibera della più piccola amministrazione comunale. Nel noto tavolino del preordino dei congressi, essi inseriscono nelle liste le candidature di ossequiosi "yes man" che, anche per la boria d’essere qualcosa, rappresenteranno il volere dei loro mandanti in ogni situazione. È chiaro perché i congressi dei partiti siano dei mercati delle vacche?

Il noto tavolino porterà quasi sempre ad un congresso unitario o a liste concordate; tuttavia, se si dovrà stoppare qualche onesto e irriducibile oppositore, allora sarà un congresso a liste contrapposte che attaccherà il "ribelle", adescando con fallaci corruzioni i suoi più “gracili” sostenitori. È un meccanismo perverso ma semplice, che ovviamente descriveremo. La “diretta” del congresso arriva, ma senza avere letto ciò che precede, sarebbe stato più difficile capire.

 

 

Ti racconto la politica 27

(I'inganno dei congressi)

 

Ci stiamo arrivando, ma prima di “trasmettere” la preannunciata cronaca in diretta di un congresso tipo, ci soffermeremo su un tema del quale anticipiamo qualche titolo. Si tratta del “voto di scambio”, ovvero di uno sporco tabù alla base delle vergogne politiche del nostro Paese; un’immensa vigliaccata con cui il potere garantisce se stesso, impoverendo il popolo per renderlo sottomesso, debole e abbordabile alla corruzione.

Ne parliamo in questo passo del nostro corso perché, “guarda caso”, l‘impostazione del voto di scambio si è confermata quale consuetudine, proprio nell’ambito delle mansioni congressuali dei partiti.

Immaginiamo ora, quasi riconoscendogli una dignità che non sempre gli appartiene, che il dirigente di partito sia una specie di comandante d’una nave; è vero che altri “uffici” stabiliscono il porto di partenza, quello d’arrivo e la rotta da seguire, ma è anche vero che la nave la conduce lui.

In spregio al dettato costituzionale, il partito politico è uno strumento totalmente travisato e  chi lo dirige, ha possibilità d’interferine, più o meno direttamente, nell’ambito del potere esecutivo, come di quello legislativo e di quello giudiziario, nonostante quest’ultimo sia un caso a sé.

I congressi, come ripetuto più volte, “votano” i dirigenti dei partiti; sono momenti di elezione, dunque, presunti meccanismi democratici, ma la democrazia italiana li ha trasformati in una colossale truffa consumata ai danni del popolo.

La diretta che “trasmetteremo”, sarà quella di un congresso provinciale riferito all’ormai noto territorio di un milione di abitanti, che siamo soliti usare come campione nei nostri capitoli. La ritualità congressuale è più o meno uguale per tutti i partiti; noi proseguiremo con l’esempio di quello cha conta circa 3.000 o 3.500 tessere vere, più altrettante false.

Stabiliti nel noto “tavolino del preordino”, i candidati e ogni altro particolare, il congresso “eleggerà” i singoli dirigenti che a loro volta formeranno i vari organi statutari che ogni partito chiama a modo suo.

Voti e preferenze confermeranno, più o meno, una quarantina di persone che saranno avvicendate, chissà quando, più per sopraggiunta vecchiaia che per democratico ricambio; il rinnovamento riguarda soprattutto gli “yes man”.

A questo punto, gli “eletti” formeranno gli organi statutari provinciali come il segretario, la direzione, il presidente, l’ufficio di presidenza, il comitato e vari uffici che vanno dall’organizzativo all’amministrativo, da quello dei rapporti con la stampa a quello dei rapporti con gli enti locali, dal tesseramento al territorio e via discorrendo.

Saranno “eletti” anche i delegati al congresso di livello superiore, cioè regionale e poi nazionale. Il tavolino del preordino decide quasi sempre di riportare i candidati su una lista detta "unitaria" che, praticamente, “elegge” i candidati ancora prima che si votino. Le liste possono essere unitarie, concordate, contrapposte o altro, però cambia poco.

I congressi sono blindati, ma talvolta qualcuno li scardina; se sapesse scardinarli il popolo, sarebbe una stagione nuova. 

 

 

Ti racconto la politica 28

(Il voto di scambio)

 

Circa il voto di scambio, se Dante Alighieri fosse vivo, scriverebbe “L’infame Commedia”.

Infame, perché tale è l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti dei cittadini. Come definire diversamente un potere politico che rivolge al popolo le sensibili parole a lui gradite, per “ingentilire” la facciata di crimini, vessazioni e inganni?

Il voto di scambio è un tema semplice ma assai vasto; spazia dai massimi esponenti politici, all’ultimo consigliere o funzionario del più remoto comune d’Italia.

Si evolve e ingloba i temi dell’attualità; per esempio, nel caso dell’immigrazione, riconosce come umanitarie certe organizzazioni criminali, dà loro tot Euro a immigrato e chiede tot voti in restituzione.

Le angherie per “decreto” hanno avuto genesi quando l’avidità dei politici ha scelto la via della prepotenza istituzionale; non a caso lo “Stato” taglia i servizi e il sostegno al cittadino, ad ogni tornata.

Nei molti decenni che hanno tradito la democrazia e costruito un regime che di democratico ha conservato solo il nome, si è “distillata” una classe politica dirigente mossa dalla brama di garantirsi protezioni, agi, privilegi e prebende d’ogni sorta.

Riconducendo il ragionamento all’essenziale, si fa intendere che la democrazia sia garantita dal semplice istituto del voto, insomma, se si vota è democrazia.

Stabilito, pertanto, di mantenere la facciata del voto, occorre solo manipolarlo.

Il voto si compra in quantità; si “ritocca” nell’iter del suo conteggio e c’è perfino qualche scheda falsa che, entrando nell’urna, diventa vera … un capitolo è un capitolo, ma questo è un corso, dunque, ne parleremo ancora.

Le nuove leggi elettorali nascono per facilitare detti raggiri; sempre abbellite dal vocabolario di facciata, esse conferiscono “maggioranza” ai voti che calano ogni volta.

“Voto di scambio” significa “voti comprati col denaro pubblico”.

L’estorsione fiscale, la soffocante burocrazia, l’epidemia di enti e organismi, il vergognoso esubero d’impiegati pubblici, l’indegna miriade di norme contorte e quant’altro, sono inseriti nel voto di scambio che è il contenitore generale della disonestà politica italiana.

Per esempio, un milione di stipendi pubblici “di scambio”, costa almeno 20 miliardi di Euro l’anno e pari consulenze professionali “di scambio”, costano ancora di più.   

Gli “acquisti” crescono da decenni; oggi si comprano quasi 10 milioni di voti, ma è in arrivo la saturazione. Fatti i dovuti arrotondamenti, risulta “comprato” un elettore su quattro aventi diritto e uno su due votanti effettivi.

Il pagamento dei 10 milioni di voti, avviene secondo le tre diverse modalità riportate nel seguente specchietto:

a) 4,5ml di voti sono pagati dall’infinita “corruzione di grandi, piccoli e minimi appalti";

b) 4 ml abbondanti di voti sono pagati da "stipendi e consulenze pubbliche di scambio";

c) Poco più di 0,5 ml di voti sono pagati dalle singole strutture elettorali di candidati che    consegnano all’elettore la scheda, già vidimata, da infilare nell'urna.

Ciò grava per almeno 130 miliardi di Euro sul bilancio pubblico dell'Italia, ma l’eventuale errore di valutazione è per difetto e non per eccesso.

 

 

Ti racconto la politica 29

(Organi dirigenti provinciali)

 

Sento il dovere di esprimere un sincero ringraziamento a quanti hanno letto e divulgato il precedente capitolo n.28 (Il voto di scambio), fino a determinarne l’importante diffusione che ha avuto; le notizie e i dati pubblicati, hanno ovviamente destato indignazione. In tema di politica, capita che questo corso descriva meccanismi spregevoli e spesso sconosciuti ai normali cittadini, tuttavia, nonostante i ripetuti appelli, non si sono fin qui ricevuti reclami o richieste di contraddittorio. Essendo il voto di scambio il “contenitore generale” della disonestà del sistema politico istituzionale italiano, è ovvio che ne parleremo ancora.

Adesso, dal momento che sono state trattate molte questioni inerenti la perversa realtà dei congressi dei partiti, proseguiamo con la descrizione degli organi dirigenti provinciali, così avvicinandoci ulteriormente alla più volte evocata “cronaca in diretta” che sta per arrivare. 

Ritorniamo al noto tavolino del preordino dei congressi e ricordiamo che non esiste un solo partito né un solo congresso che non “allestisca” detto tavolino.

Come riportato nel capitolo n.25, ottemperati i salamelecchi d’apertura e trascorso un tempo non esattamente breve, ecco che il primo a prendere la parola per entrare in tema, è il pacchettaro signor Tizio che in sostanza dice: "testimonio la partecipazione democratica e vanto la solidarietà di 2350 generosi iscritti". Di seguito, evitando di riportare qui gli infiniti ghirigori che in quel tavolino sono d'obbligo, si fa avanti il secondo pacchettaro il quale vanta “la solidarietà - poniamo - di 1700 generosi iscritti”. Arriva dunque il turno del terzo pacchettaro che vanta “la solidarietà - poniamo - di 950 generosi iscritti” e via discorrendo con il quarto e il quinto pacchettaro che parlano rispettivamente di “600 e 400 generosi iscritti”.

“Generosi iscritti” vuol dire tessere; nel territorio provinciale del nostro esempio, tra "vive e morte", le tessere sono  6000.

Il Congresso eleggerà - si fa per dire - il nuovo organo dirigente provinciale che fissiamo in una quarantina di membri.

Il primo pacchettaro, quello delle 2350 tessere,  avanza la sua richiesta di candidati; dunque, seguono gli altri.

Gli eleggibili sono quaranta, ma le candidature sono di più; che si fa?

Semplice, è un po' come i ministri e i sottosegretari che formeranno il Governo.

Pur essendo partiti da un’ipotesi di quaranta, si potrà “eleggere” un comitato di cinquanta o sessanta consiglieri e all’uopo, si ricorrerà anche alle linee "Istituzione e Sottobosco", descritte nello schema del capitolo n.1; insomma, chi non è piazzato subito, sarà piazzato dopo. Finora, abbiamo parlato di lista unitaria, ma se saltasse fuori un "disobbediente",  vedremo cosa si farà per renderlo innocuo; negli attuali partiti politici, la democrazia non esiste.

A proposito, è importante sapere che, già dagli anni Sessanta, esiste una sorta di tabella dei “pesi” dei vari ruoli pubblici e di partito, che passa sotto il nome di “Manuale Cencelli”; ha una funzione incredibile e ne parleremo.

 

 

Ti racconto la politica 30

(Il Manuale Cencelli)

 

Un'assurda cultura ha costruito la maggiore epoca di mancanza di rispetto verso tutto, propinando l’ipocrita illusione di rispettare tutto.

Deve essere stato difficile, a suo tempo, immaginare che la democrazia si sarebbe rivelata in Italia come il più perfido e corrotto dei regimi politici.

La modernità non può inneggiare al ritorno a regimi totalitari, tuttavia è innegabile che la nostra democrazia sia oggi una forma di dittatura che si nasconde dietro l’adornata facciata dell’istituto del voto e la capillare corruzione del voto di scambio.

Essa “inventa” meccanismi volti in apparenza a migliorare l’attendibilità delle istituzioni dello Stato ma deturpati, nei fatti, dalle mire di una classe politica depravata e priva di ogni senso etico.

Per esempio, negli anni Sessanta, l’acuto Massimiliano Cencelli ideò qualcosa che avrebbe potuto agevolare il riconoscimento della meritocrazia nei ruoli pubblici e di partito,  ma certa perversione politica non permise di usare quell’idea per gli scopi per i quali era stata concepita.  

Nato nel 1936, Massimiliano Cencelli s’iscrisse alla Democrazia Cristiana nel 1954 e ne diventò un alto funzionario.

Elaborò in particolare, con precisione quasi algebrica, una sorta di vademecum dei pesi e delle misure; un metodo, insomma, per quotare gli incarichi pubblici e di partito, che è passato sotto il nome di “Manuale Cencelli”. Il sistema, idoneo a riconoscere il merito delle persone degne e professionalmente preparate, fu purtroppo trasformato nei decenni in uno strumento per mediare le ingordigie e le brame di potere di politici disonesti e prepotenti.

Il Manuale Cencelli è oggi usato da tutti i partiti e i governi, per gestire l’esasperata lottizzazione delle posizioni di potere; insomma, è utilizzato per attribuire “quotazioni” a tutti i ruoli pubblici e di partito, fino all’ultimo “vice bidello” dell’ultima scuola elementare dell’ultimo comune d’Italia.

I suoi parametri sono usati quali metro di misura per la spartizione delle “sedie e poltrone” sulle quali allungano le mani i governi, i partiti e le rispettive correnti.

Lo schema delle tre linee verticali parallele del capitolo n.1 di questo corso, ha aiutato a capire molti dei meccanismi di volta in volta descritti; in ordine al Manuale Cencelli, esso è fortemente esplicativo.

Più volte affermato, ecco come in politica due più due può fare cinque.

Il pacchetto “A” di tessere, ha determinato la percentuale congressuale del 12,6%, mentre il pacchetto “B” ha determinato quella del 9,4%.

Il decimale maggiore fa salire “A” al 13% tondo; mentre il 9,4% di “B”, diventa 9%.

Il 13% di “A” e il 9% di “B”, saranno “pagati” scegliendo delle posizioni tra quelle riportate nelle linee “Partito e Istituzione” (schema capitolo n.1).

Ciò fatto, lo 0,6% di “A” viene aggiunto allo 0,4% di “B” che ha adesso un intero punto percentuale da “spendere” tra i ruoli della linea “Sottobosco”.

Caro lettore, non c’è da sorprendersi se sei rimasto senza parole.

 

 

Ti racconto la politica 31

(Illusionisti e illusi)

 

Pensare d’interagire utilmente con qualcosa che non si conosce, è illusorio; questo corso narra certi usi della politica, nella speranza di dare qualche informazione utile a quanti si organizzano per opporsi alla prepotenza istituzionale che opprime il popolo. 

Proposte popolari, petizioni, appelli, proteste, cortei, piazzate … e perfino referendum, non servono a nulla; sono lo zero assoluto. Lo strumento di rivalsa popolare è il partito politico e non è un caso se, nei decenni, l’apparato ha usato mille espedienti per renderlo inviso alla gente. Caduti nella trappola, i cittadini si sono messi a “inventare” movimenti, federazioni e simili, tanti quanti sono i granelli di sabbia nel fondo del mare e nonostante vantino spesso posizioni in accordo con la teoria etica, essi sono dispersivi e  inefficaci dal punto di vista politico.  

Com’è possibile chiamare democrazia un apparato di potere che proviene da elezioni controllate e contraffatte se non addirittura inesistenti?

Com’è possibile portare rispetto a istituzioni corrotte che affliggono la vita sociale?

La responsabilità di tali disagi è solo dei politici depravati o è anche dei cittadini?

Quale infelice personalità ha un popolo che si disperde in mille rivoli, al seguito della presunzione di mille improvvisati sedicenti leader?

Possono esistere gli “illusionisti” se non esistono gli illusi?

La vita è complessa e non sono certo i “docenti” della superficialità a farla diventare semplice.

Molti si sentono originali e liberi mentre rendono omologati i loro atteggiamenti e usano luoghi comuni e frasi fatte; si credono forti perché “parlano chiaro” mentre confondono  il concreto con il subito … in questo modo, l’infelicità dell’ignoranza è in agguato.

Ci si continua a illudere che la politica - forse la più complessa delle scienze - possa essere affrontata col chiasso, l’urlo, l’impulsività, l’incompetenza e gli “ululati” di sedicenti politologi rivoluzionari, “illuminati” solo dalla loro presunzione. Tante aggregazioni quanti sono i granelli di sabbia e tanti sciocchi che s’illuminano della loro ignoranza, proprio così; come faremo a venirne fuori?

Siamo arrivati a confondere l’apparenza con la sostanza e a commentare le cose, non per quello che sono, ma per come certi “registi” sanno presentarle alla nostra plagiabile emotività.

Come faremo a venirne fuori? C’è da ripersi queste parole davvero col ritmo dell’ossessione.

Istituzioni corrotte e vessatorie, voti comprati, elezioni alterate e un esercito popolare di pifferai “fuori di testa”, che ottengono l’attenzione di un popolo confuso ma arrogante; è questa la democrazia?

Il popolo ha gravi colpe e tra esse, annovera la comoda superficialità che non chiede di approfondire nulla, mentre porta perfino a farsi vanto di ciò che non si capisce.

Un fatto non è più un fatto, ma è la sottile recita di ciascun “regista” della politica e dell’informazione, oppure la rozza appariscenza strillata dai fanfaroni tra il popolo.

Può tale ingiuria alla civiltà e all’intelligenza, essere chiamata democrazia?

 

 

Ti racconto la politica 32

(Ti blindo la lista)

 

L’ignoranza ti cerca, la cultura vuole che la cerchi.

Per quale insensato motivo non capiamo più che “cercare” la cultura e la conoscenza sia determinante per vivere meglio e da persone libere?

Quale assurda logica ci ha infilato nella testa che la nostra attenzione debba essere attratta dal chiasso e dal bagliore di certa ridicola originalità?

La conoscenza è osservazione, ascolto, lettura, riflessione e capacità d’attesa … com’è possibile che lo “scoppio” di uno stupido petardo o il “colorato” aspetto di un buffone o la vuotezza delle parole piene di “rumore”, attraggano la nostra fiducia?

Che possibilità ha un popolo siffatto, di opporsi a malvagie istituzioni che lo vessano, avviliscono e offendono?

Quanta presunzione occorre per credere di combattere e vincere un nemico di cui si vuole pensare di sapere tutto, mentre in realtà si sa poco più di nulla?

Si possono tirare in ballo mille fantasie dilatate quanto il mondo, ma la “connessione” con i poteri costituzionali, cioè legislativo, esecutivo e giudiziario, è il partito politico, anche se il potere giudiziario prevede qualche considerazione a parte.

Purtroppo per alcuni, questo è un capitolo tecnico in cui non scoppia nessun petardo né si racconta il colorato aspetto di nessun buffone.

I partiti devono celebrare i congressi, così come gli Stati democratici devono celebrare le elezioni pubbliche, ma in Italia è tutto “democraticamente” pilotabile.

In precedenti capitoli, abbiamo definito con una certa precisione le piccole quantità numeriche che determinano gli equilibri tra le aree di prepotenza congressuale.

La o le liste dei candidati, sono redatte dai pochi partecipanti al noto tavolino del preordino dei congressi, poi, proprio alla faccia della democrazia, vengono “blindate” per tutti.

La democrazia è partecipazione ma la partecipazione è uccisa dall’apatia o dispersa in mille rivoli.

Vuoi intervenire? Allora costruisci un partito che appartenga davvero al popolo, oppure espugna uno spazio in un qualsiasi congresso e mantienilo onesto. In quest’ultimo caso, coinvolgi dei tesserati seri e prendi posto nel tavolino del preordino congressuale … diversamente, butterai via il tempo o urlerai per nulla.

Le liste segnano il destino di tante cose e sono fortemente blindate contro gli intrusi. Un “solitario o solista”, non può comparire in nessuna lista ufficiale di candidati, senza una preventiva accettazione d’obbedienza. Ogni candidatura è sottoscritta, ma non è raro che i neofiti non "collaudati", debbano firmare anche un foglio di dimissioni senza data; questo non lo dice mai nessuno.

Coloro che pensano di entrare in un qualsiasi partito per modificare l'andazzo della politica, devono conoscere ogni “veleno”, diversamente non avranno alcuna possibilità di affermarsi, se non quali parassiti dilettanti che aspirano ad una delle cariche del Manuale Cencelli descritto nel capitolo n.30.

Prossimamente vedremo la differenza tra liste unitarie aperte o chiuse, liste concordate e liste contrapposte ma, comunque si chiamino, esse puntano sempre a monopolizzare tutto.

 

 

Ti racconto la politica 33

(Politica, alcol e sedativi)

 

Questo capitolo segna il battesimo della pubblicazione del corso anche sul quotidiano cartaceo.

Per l’occasione, prendiamo una piccola pausa dalla pura “didattica” e raccontiamo un episodio che invita comunque a riflettere.

Il treno, alta velocità da Milano, è prossimo a Roma. Guardo dal vetro l'Italia che scorre incastonata tra i germogli della primavera; di fronte a me, è seduto un passeggero.

“Bella la nostra Italia - dico - peccato che la stiano avvilendo”.

“Sorry?”

Il passeggero è inglese; io non parlo bene la sua lingua ma non rinuncio alla chiacchierata.

“How beautiful is Italy - continuo!”

Il mister dimostra una cinquantina d’anni, veste elegante e scopro presto che si tratta del responsabile per l'Italia di uno dei whisky più noti del mondo.

Attraversiamo un periodaccio, dunque, gli chiedo perché mai venga qui da noi; penso infatti che non vi siano molti denari per comprare whisky.

“Un paese angosciato beve - afferma in un italiano migliore del mio inglese - e sono qui per questo”.

Rimango annichilito; arriva Roma e ci salutiamo tra un ciao e un goodbye.

Il giorno dopo, giacché i sondaggi sono di moda, decido di farne uno in miniatura e tutto da solo. Scopro, da alcuni ristoratori, che si vende più alcol e da alcuni farmacisti, che sonniferi, tranquillanti e affini vanno forte.

Sono di nuovo annichilito; porca miseria - lasciatemelo scrivere - ci stanno proprio fottendo la vita.

Ostentando serenità, l’ignobile apparato opprime la sfera sociale, familiare e privata; i cittadini sono intaccati da apatia e irritabilità … genitori e coniugi avviliti per difficoltà varie, lavoratori impauriti, imprenditori sconfitti, studenti sfiduciati, tasse estorsive e valori infranti.

È questa l’Italia democratica?

Come nella giungla, il forte aggredisce il debole; ma é fuori luogo chiedersi quanto debole voglia diventare il nostro popolo?

Possibile che si senta forte recitando le frasi fatte che gli mette in bocca proprio il potere politico?

Fa di ogni cosa un allarmismo e trasforma ogni opinione in libertà d’arroganza e di polemica, fino ad apparire una sorta di popolo fondamentalista non nella religione ma nella cultura.

Amare l’ambiente, gli animali, la libertà di parola e quant’altro, è più che giusto ma la propensione al fanatismo ci trasforma nei più fissati ambientalisti, vegani, animalisti, apolitici, anti questo, anti quello e anti tutto … fino a rendere assurda e inefficace ogni rivalsa politica popolare. Inneggiamo a una rivoluzione che non sappiamo fare e l’illusione del “concreto e subito” ci tiene in sala d’attesa da decenni.

Cavillare su ogni cosa è da deboli e allontana dalla vera possibilità di rivalsa  popolare che è la capacità di fare squadra.

Avalliamo il plagio del regime impostore che si fa chiamare democrazia e che, secondo l’antico “divide et impera”, ci disperde gli uni contro gli altri nelle mille arroganti fissazioni in cui ci illudiamo d’avere una ricca personalità.

 

 

Ti racconto la politica 34

(La lista unitaria)

 

Paolo Borsellino diceva che il cambiamento si fa con la matita dentro la cabina elettorale e che quella matita è più forte di qualsiasi arma, di qualsiasi lupara e più affilata di un coltello.

Aveva ragione, ma l’hanno capito anche le istituzioni che ci governano e l’hanno capito al punto che si sono messe a progettare ogni inganno perché, nella falsa democrazia che disegnano, il voto popolare conti sempre meno.

La modernità cambia tutto e immaginare la politica con ristrettezza, è uno dei maggiori errori che un popolo possa commettere, eppure non mancano mai quanti inneggiano alla rivoluzione senza considerare che anche il concetto di rivoluzione segue il dettato della modernità.

L’attuale fotofinish mostra una politica prepotente e un popolo che si sente forte mentre è costantemente plagiato; basta pensare all’impressionante quantità di cittadini che si uniformano nel linguaggio delle frasi fatte.

Non è possibile vincere al tavolo dei bari senza conoscerne gli inganni; ciò non vuol dire che il popolo debba essere truffatore, ma che non può competere se non conosce i trucchi di chi truffa.

Come spiegare altrimenti il fenomeno dell’esercito popolare dei sedicenti “pragmatici” che non concludono mai nulla?

Questo è un capitolo tecnico che tratta il tema della lista unitaria e informa, come abitudine dell’intero corso, senza affidarsi all’enfasi, pur sapendo che nel lettore dipendente da emotività e bisognoso di suggestione, potrebbe subentrare la “fatica” prima di completarne la lettura.

Ci siamo intrattenuti spesso sulle fasi che precedono un congresso di partito, qualunque esso sia. Il "tavolino del preordino" ha definito il numero dei candidati che il congresso “voterà”, così eleggendo i dirigenti provinciali del partito. Stiamo osservando dei meccanismi perversi tra cui è difficile districarsi, se non conoscendoli profondamente.

Ci siamo già occupati dei mille "accessori" a cui si ricorre per trovare la cosiddetta quadra; eccoci pertanto alla lista unitaria che rappresenta la conclusione più diffusa. Chiamarla lista unitaria invece di unica, è già una furberia, in ogni modo, ciò significa che il congresso “voterà” una sola lista. Nel nostro esempio, i candidati sono diventati cinquanta anziché quaranta come si pensava (cap. n.29); inoltre, i dieci o dodici che non hanno trovato posizione nella lista, saranno “sistemati” seguendo lo schema delle linee "Istituzione e Sottobosco" che conosciamo (cap. n.1 e n.2 ) e del manuale Cencelli (cap. n.30).

In conclusione, il congresso avalla l’elenco dei cinquanta nomi stampati e praticamente già votati.

E l'informazione? Ecco, più o meno, cosa reciterà il comunicato stampa ufficiale della convocazione del congresso. 

"In ordine al grande senso di democrazia del partito XY, nonché all'unità di intenti che sa interpretare con rispetto le istanze del popolo, è convocato il congresso provinciale per il tale giorno e mese, presso il tale teatro”.

A proposito, le liste unitarie sono chiuse o aperte, cambia poco, ma ne parleremo.

 

 

Ti racconto la politica 35

(I social network)

                                                                                 

Nella Pentecoste del Manzoni si parla della luce che cade uguale su tutte le cose, mentre ogni cosa emana un colore diverso.

La comunicazione è luce della conoscenza e la politica sa quanto essa sia forte strumento di persuasione. Di là delle ciance delle “lingue” all’ammasso, la politica non può prescindere dall’intelligenza; essa, per suo compito, organizza la vita sociale e il popolo, invece di bistrattarla facendosene perfino vanto, dovrebbe assisterla per opporsi ai prepotenti che la manipolano a loro piacimento.

La politica parla anche il “politichese” che, in barba alle interpretazioni di viscerali e paranoici, è una specie di linguaggio dell’intelligenza.

Una delle nostre pagine più lette, (Realtà e linguaggio - capito n.16), ci ha detto come il linguaggio possa “modellare” la realtà, proprio mentre la rappresenta.

Tutto muta e se, anche con un pizzico d’ironia, pensiamo al piccione viaggiatore, al dispaccio “a cavallo”, alla missiva con francobollo e alla più recente ma pur sempre antica telefonata, notiamo che i social network modificano radicalmente il concetto stesso di comunicazione.

La modernità richiede un forte impegno di “assimilazione” individuale e sociale; certo inneggiare alla semplicità è come inneggiare all’ignoranza.

Il mondo cambia e occorre impegnarsi a capirlo per non rimanere prigionieri dell’antico.

Questo corso descrive molti meccanismi, anzi veleni che la politica delinquente usa per sopraffare la politica perbene; ma la conoscenza deve stimolare la capacità di capire.

I social network sono potenti strumenti di comunicazione; alcuni si specializzano per tipologie, utenti e temi, mentre altri sono più genericamente una sorta di nuova agorà in cui si “passeggia” per dire qualsiasi cosa.

Il social network “piazza”, è lo strumento di comunicazione più potente di cui il popolo abbia fin qui potuto disporre. Mette in contatto milioni di persone, non è inaccessibile come il mas media tradizionale … ed è potenzialmente “miracoloso” per la strutturazione della progettualità politica popolare.

Invece? Invece prevale la volgarità, l’arroganza e l’immediatezza di quanti credono d’avere una personalità forte, mentre sono l’assoluto nulla.

Invece? Invece imperversa l’eccitato esercito di “opinionari” da strapazzo che divulgano le grandi balle dell’informazione pilotata, così trasformandosi in robot telecomandati dal plagio istituzionale.

Invece? Invece scorrazza la morbosa vanagloria di sedicenti rivoluzionari e perfino politologi totalmente incapaci di formulare un progetto di rivalsa popolare serio ed efficace.

Invece? Invece, inabile a capire le potenzialità dello strumento che il destino tecnologico  mette a disposizione, prevale un universo di squallidi gruppi  che rappresentano i limiti, i modi e i temi della più tragica superficialità popolare.

Il nostro popolo è afflitto da istituzioni oppressive ma è anche patologicamente “incurante”, oppure fissato in forme di lotta che si dimostrano inutili da almeno mezzo secolo.

Merita ogni solidarietà per ciò che subisce, ma va anche rimproverato per la gravissima superficialità con cui si rende perdente.

Può capire, ma deve decidersi a capire!

 

 

Ti racconto la politica 36

(Lista chiusa o aperta)   

 

Nel capitolo n.34 abbiamo detto cos’è e come si forma la cosiddetta “lista unitaria” e abbiamo anche descritto con quali “veleni” vi si costruisce intorno il congresso.

La lista unitaria può essere chiusa o aperta, ma chiariamo subito che quella aperta è aperta per modo di dire. La “lista unitaria chiusa” è formata da tanti candidati quanti sono gli eleggibili, dunque, votata la lista, tutti sono eletti. La “lista unitaria aperta” riporta invece un numero di candidati maggiore di quello degli eleggibili; ciò vuol dire che nel noto tavolino del preordino dei congressi (Capitolo n.23), a causa delle troppe pretese, si è faticato un po’ a raggiungere l’intesa finale tra le correnti (capitolo n.15).

Dopo il congresso, certa stampa parlerà comunque di “alto esempio di democrazia”, nonostante tutto sia stato pilotato.

Come accade per quella chiusa, anche nel caso della lista aperta, i candidati da eleggere sono garantiti; nondimeno, la presenza di nomi che non riusciranno a entrare nella rosa degli eletti, sta a ricordare che detti candidati saranno successivamente sistemati altrove, anche in base alle “istruzioni” del manuale Cencelli accennato nel capitolo 30.  

Ricordiamo che le elezioni congressuali sono elezioni, per così dire, private che non c’entrano nulla con le regole e i dettati delle varie leggi elettorali.

I congressi dei partiti, come qualsiasi momento elettorale, rappresentano un punto di vulnerabilità, è pertanto immorale ma ovvio che il noto tavolino del preordino dei congressi, affini ogni tecnica per “blindarli”.

Del resto, anche la recentissima storia d’Italia, racconta che con un colpo di mano in un congresso di partito, si può assurgere perfino alla Presidenza del Consiglio.

La modernità e la ragione vogliono che ogni progetto sia condotto da persone che,  poche o tante che siano secondo necessità, sappiano lavorare in unità d’intenti; il concetto di squadra, però, non è certo un punto “luminoso” della forma mentis del popolo italiano.

Impronte digitali, DNA, peso, altezza e milioni di altre caratteristiche, rendono unico ogni essere umano.

È spontaneo capire che, così come non esistono due esseri umani fisicamente identici, non possono neppure esistere due esseri umani identici dal punto di vista culturale, caratteriale e mentale.

In ogni modo, viviamo tutti su questa terra e se fossimo maggiormente capaci di discernere le priorità, capiremmo che i motivi d’intesa dovrebbero avere più importanza dei motivi di lite.

Non pochi, infatti, vivono sostanziali problemi di discernimento e sia pure in condivisione di lodevoli principi, riescono paradossalmente a trasformare in motivo di lite perfino il banale “tifo per questa o quella squadra di calcio”.

Ciò fornisce la dimensione di certa idiozia culturale e denuncia l’impulsività quale forma di patologia.

L’umiltà è forza, del resto, non è difficile capire che chi è vittima dell’impulsività, ha meno personalità di chi sa attendere e riflettere. 

Prossimamente, ci occuperemo delle cosiddette “Liste concordate”.

 

 

Ti racconto la politica 37

(Liste concordate)   

                                                                                             

Per le operazioni congressuali di voto, come abbiamo visto, si possono prevedere diverse tipologie di liste relative all’elezione dei candidati, ovvero dei nuovi o riconfermati dirigenti del partito.

Le liste unitarie chiuse o aperte, le liste concordate, le liste contrapposte delle quali parleremo presto ed eventuali altre “diavolerie” inventate magari all’occorrenza, nello specifico congresso di questo o quel partito, sono caratterizzate da un motto e descritte sempre come uno strumento volto al rispetto della regola democratica; invece, si tratta di sotterfugi ipocritamente ponderati per assicurare che ogni fase dei lavori congressuali si svolga secondo le pianificazioni stabilite nel tavolino del preordino dei congressi, che abbiamo descritto nel capitolo n.23 e richiamato in successive occasioni.

È ovvio pensare a un parallelo tra la gestione generalmente arrogante dei lavori congressuali e l’invadenza, non meno assoluta, che la politica istituzionale esercita in ogni sua funzione pubblica, elettorale compresa, salvo descrivere immancabilmente ogni cosa come democratica e volta al bene del popolo.

È corretto evidenziare detto parallelo, per significare che senza una profonda conoscenza dei meccanismi perversi con cui la politica istituzionale si mantiene al potere e proroga la propria prepotenza, nessuna forma di rivalsa popolare potrà essere condotta a successo.

In ogni modo, preso atto di come la lista unitaria, chiusa o aperta che sia, possa blindare il responso pianificato di un congresso di partito, vediamo ora cosa sono e perché si adoperano le liste concordate che, di solito, sono due e raramente di più.

Per la gioia di chi inneggia alla concretezza, stiamo leggendo un passo molto tecnico, come spesso il lettore chiede, ma, chissà perché, la descrizione concreta e analitica delle cose, porta molti sedicenti “concreti” a leggere con noia.

Fissato, per esempio, di eleggere un organo direttivo territoriale di 50 membri; le due liste concordate riporteranno i nominativi di 50 candidati l'una, per complessivi 100.

Accordata ogni spartizione e carica, una delle due liste riporterà ovviamente più voti dell’altra; sarà la lista in cui una o due correnti (capitolo n.15) hanno concordato di elencare i propri candidati insieme a quelli della corrente più numerosa.

In linea generale, la lista che prende più voti, elegge i due terzi del comitato (in questo caso, 34 dirigenti) e l'altra un terzo (in questo caso, 16 dirigenti).

I pacchettari maggiori, formata dunque una lista con i nomi dei propri candidati "obbedienti", prenderanno le prime trentaquattro posizioni, mentre i pacchettari rimanenti o minori, prederanno le prime sedici posizioni nell’altra lista. Le percentuali sono "aggiustate" fino ai decimali, col meccanismo detto "manuale Cencelli" che, dalla notte dei tempi, si utilizza ovunque ... partiti, istituzioni e sottobosco.

Tra pochi capitoli inizieremo con la “cronaca in diretta” del congresso, ma prima parleremo delle liste contrapposte e di come si contiene l’eventuale azione del “disobbediente” che non accetta le prepotenze del tavolino del preordino. 

 

 

Ti racconto la politica 38

(Liste contrapposte)

           

Esiste una sorta di sequenza di elementi costruiti ad arte, che ha il fine di “snellire” i numeri che servono alla politica, cioè di rendere sufficienti numeri inferiori, in luogo di numeri maggiori. Dalle leggi elettorali, ai quorum, ai voti per delega, a mille altre diavolerie, ne abbiamo parlato più volte e abbiamo anche visto che questi elementi s’infilano, per così dire, uno dentro l’altro come delle “matrioske”.

Non a tutti sfugge che le strategie banali e gli atteggiamenti chiassosi della politica popolare, siano graditi e spesso provocati dalla stessa politica istituzionale.

Oggi, anche il più ipocrita e corrotto dei regimi politici, vuole definirsi come democratico, dunque, non tende a sopprimere l’istituto del voto, ma a controllarlo.

Il nostro regime politico è tra i più ipocriti che esistano; si professa quale paladino del voto popolare ed è invece inventore molto abile degli espedienti più perversi per controllarlo.  

Nei partiti si alternano circostanze diverse alle quali si fa fronte, scegliendo gli atteggiamenti in grado di “rendere” la migliore immagine possibile; è un po’ come indossare l’abito cerimonioso o sportivo o trasandato o seducente o d’autore o altro, in base all’occorrenza.

Ne abbiamo visto gli usi specifici e si tratta di elementi delle accennate “matrioske”, ma le varie tipologie di liste servono anche a “inviare” all’informazione e all’opinione pubblica, il tipo di messaggio (abito) in quel momento più conveniente. 

Si usa la lista unitaria per comunicare una forte coesione del partito, oppure le liste concordate per esprimere dibattito ma convergenza, oppure quelle contrapposte per dare prova di una sintesi che poi sa scegliere il rispetto della maggioranza relativa … accade addirittura che delle liste concordate, vengano presentate come contrapposte.

Le liste contrapposte si hanno certamente nel rarissimo caso di un disobbediente, cioè di qualcuno che non si è fatto imbrigliare e che sia riuscito a sedere nel famoso tavolino del preordino (capitolo n.23). Quel disobbediente rappresenta la presenza di soggetti onesti, di iscrizioni consenzienti, di tessere “vive” e correttamente pagate … quel disobbediente è un protagonista degno che non rappresenta la volgarità della politica.

I convenuti al noto tavolino, tenteranno in ogni modo di isolarlo in una lista unitaria o concordata, ma se resisterà fino a compilare una lista per conto proprio, allora scatterà la "solidarietà" tra tutte le altre liste che si riuniranno contro di lui.

Abbiamo davanti molti capitoli, dunque, molte cose da dire, ma le informazioni fin qui riportate, dimostrano che il partito politico sia spesso usato come uno strumento per affinare coercizioni d'ogni tipo, per controllare il voto dei congressi, il voto pubblico e perfino gli atteggiamenti delle istituzioni; lì dentro, è raro se non impossibile, incontrare il rispetto. Per certe abitudini e attività svolte, i partiti politici trasformano l’attività elettorale del popolo in una sorta di correità che lega alle colpe pubbliche.

 

 

Ti racconto la politica 39 (parte 1)

(Manifesti e statuti)

 

“Entra rinculando facendo finta d’uscire”.

Queste parole sono diventate, in sintesi, la caratteristica della politica istituzionale che, ormai da troppo tempo, dichiara di fare una cosa mentre ne consegue esattamente e perfidamente una opposta.

Nel rapporto tra le aspettative del popolo e la “politica istituzionale”, è palese che la politica istituzionale agisca oggi nella direzione opposta a quella degli interessi e del bene del popolo.

Molti cittadini, nonostante la reiterata ipocrisia adottata nelle parole dei “manifesti” e degli “statuti” politici, ritengono ancora che si tratti di documenti esplicativi e veritieri. Oggi, la scienza della comunicazione permette di costruire in modo “utile” ogni esteriorità … e certa politica lo sa molto bene.

Manifesti e statuti politici si presentano con una tale solennità e ufficialità che riescono a colpire l’ingenuità popolare; sono documenti che cercano di rappresentarsi come l’essenza della sincerità, ma non è più tempo di considerarli tali.

Le semplici constatazioni che seguono, possono indurre a capire.

In linea di massima, il manifesto politico riporta i principi ispiratori e il programma del gruppo o fatto associativo che rappresenta; lo statuto, invece, riporta i dati dell’atto costitutivo ed elenca le norme fondamentali che ne disciplinano l’organizzazione e il funzionamento.   

Così com'è difficile che un disonesto si dichiari tale, è anche difficile che in un manifesto o in uno statuto politico, si dichiari di seguire dei principi eticamente insostenibili; in buona sostanza, chiunque può scrivere e dire quel che vuole, ma ciò non dimostra veridicità.

Nell'era delle fabbriche dei finti assiomi come la politica e la pubblicità, impera l’ipocrisia di chi sa come vendere l’apparenza all’ingenuità di un popolo che si è fatto lentamente predisporre alla suggestione.

La pubblicità non è più soltanto ingannevole ma è fortemente disonesta come la politica.
Certi “inni” alla semplicità e alla concretezza, sono solo delle indegne istigazioni alla superficialità e la superficialità politica popolare è ciò su cui fanno leva i politici impostori per abbindolare l’elettore con un linguaggio apparentemente semplice e pratico, ma criminale nella sostanza.

Le campagne elettorali danno esempio di come la falsità umana possa scendere ben oltre il livello stesso della bassezza. Un popolo politicamente impreparato non può contrastare la prepotenza di istituzioni malvagie.

Il giudizio popolare non deve lasciarsi influenzare dall’immediatezza e dalla suggestione alle quali punta l’apparenza, mentre usa il fascino di un linguaggio sensibile ma ipocrita.

Il giudizio popolare deve concedersi il tempo della riflessione per sapersi edificare sulla ragione e non più sulla facciata affascinante dei disonesti proclami degli impostori.

Il popolo preferisce pensare che le cose si possano conoscere e capire velocemente, dunque, la “costruita” attendibilità di un documento, può prendere velocemente il posto della più attendibile esperienza diretta che però si acquisisce nel tempo.

Il tema affrontato nel presente capitolo, merita ulteriori considerazioni, pertanto sarà ripreso anche nel prossimo capitolo numero 40.

 

 

Ti racconto la politica 40 (parte 2)

(Manifesti e statuti)

 

Nei recenti ma anche angosciati decenni della storia italiana, la politica e di conseguenza le istituzioni si sono adagiate su un lento processo di degrado culturale, etico e sociale che ha come approvato la possibilità di gabbare il popolo, usando una spregevole serie di dichiarazioni che si sono rivelate una catena di menzogne e truffe.

Manifesti, statuti e programmi, per esempio, hanno saputo sfoggiare le più alte intenzioni ma, nella sostanza, si sono solo preoccupati di indorare la facciata e le parole della più squallida ipocrisia. Al genere dei documenti accennati, si sono susseguiti, col ritmo dell’ossessione, talk show televisivi, interviste, convegni, tavole rotonde e quant’altro, che hanno dato vita alle più ingannevoli “passerelle” di esponenti sia politici sia istituzionali, tanto spudorati da presentare le più assurde bugie come realtà.

È però da rimarcare che tali atteggiamenti ignominiosi siano stati possibili anche per la grande ingenuità con cui il popolo ha preso a confondere l’apparenza con la sostanza.

Gli attuali immondi attori della prepotenza politica e istituzionale, “giocano” con scenari,  annunci e parole, perché sanno che grande parte del popolo italiano ha permesso alla suggestione di prendere il posto della razionalità e dell’intelligenza.

Ci si strappi pure le vesti addosso, si neghi e rinneghi la realtà e ci si abbandoni alla ripicca delle querele a raffica ma, nell’Italia di oggi, i veri nemici del popolo sono i responsabili dell’ordinamento politico e delle istituzioni dello Stato; insomma, la nostra democrazia è un imbroglio.

La conoscenza chiede tempo, impegno e voglia di capire; non può basarsi sul “luccichio” delle parole della politica ipocrita né seguire il folle sogno di scriteriati ma sedicenti rivoluzionari.

È troppo facile proporre documenti e sermoni pieni delle solite accattivanti promesse truffa. Non esiste difficoltà a fare brillare “specchietti per le allodole” come la salvaguardia dell’ambiente, la tutela del lavoro, la difesa dei deboli, la lotta alla corruzione e alla gravissima tirannide delle istituzioni dello Stato, la trasparenza negli appalti, la riduzione della spesa pubblica, l’equità delle pensioni, il piano energetico, i servizi e chi più ne ha più ne metta … fino al carcere per i politici impostori che vessano la gente.

Un popolo apatico e anche imbottito di presunzione, superficialità e frasi fatte, non può contrastare un potere politico infame né evitare di essere gabbato da chi sa come snocciolare il rosario delle falsità.

La democrazia è maturità politica popolare e non può esistere se non sa dare importanza alla conoscenza e non rispetta i legami tra la gente.

Fin qui, si è invece voluto e ottenuto un popolo confuso e tanto le strutture di partito quanto le istituzioni, non hanno avuto scrupoli a tradire e a presentare progetti  ricchi di enfasi ma costantemente ingannevoli. Nel rapporto tra cittadini e ordinamento politico scellerato, non deve esistere una così grande ingenuità popolare.

 

 

Ti racconto la politica 41

(Il fine è controllare tutto)

 

È possibile rinnovare la politica?

La politica deve essere rinnovata, dunque, la scelta di poterlo fare o meno, non esiste.

Perché occuparsi di politica è obbligatorio?

Perché essa si occupa di noi e sceglie per noi, indipendentemente dal fatto che noi ci occupiamo o meno di lei.

Da cosa si rileva che scelga per noi?

La politica, per esempio, “interviene” sul prezzo di tutto ciò che compriamo, stabilisce libri e programmi adottati dalla scuola che i nostri figli frequentano, fissa le condizioni in cui dobbiamo lavorare o farci curare se stiamo male, decide come possiamo comunicare e a quale costo, come dobbiamo spostarci e su quali strade e con quali mezzi … crea perfino apprensioni e stati d’animo che influenzano i nostri comportamenti nella vita privata. La politica sceglie anche il tipo di libertà in cui viviamo e sa perfino indurre non pochi cittadini a sentirsi forti e indipendenti, mentre li condiziona a pensare e parlare proprio come vuole lei.

Incredibile? No. Molti sedicenti “liberi” mangiano, studiano, lavorano, comunicano, viaggiano e fanno tante altre cose, proprio come la politica vuole che le facciano. Ciascuno, però, si sente libero di pensare che non sia così e magari si vanta di definirsi “apolitico”.

La falsa democrazia del nostro Paese, non vuole i luoghi, le sedi e gli uffici dei propri vertici, affollati da troppa gente. La politica è per antonomasia l’amministrazione del potere e quando propende all’oligarchica, vuole molti adepti e pochi capi.

Essa adotta i più velenosi espedienti, per gestire il potere puntando anche al controllo dei più piccoli particolari.

Non a caso, le cosiddette preferenze sono state “demolite” nei partiti ancora prima che nelle elezioni pubbliche. Certo, i partiti sono solo dei fatti associativi e i loro congressi, a parte i tentacoli che mettono dappertutto, sono una questione interna, ma la scomparsa delle preferenze o in certi casi, il loro svuotamento d’importanza, sono ulteriore prova che il controllo di ogni voto congressuale vuole essere assoluto.

Stiano calmi gli “esperti” di partito, prima di urlare che, in certi casi, l'opzione delle preferenze sia ancora vigente. Qui si sta affermando e sarà difficile smentirlo, che il famoso “tavolino del preordino” (cap. n.23) preferisce organizzare dei congressi in cui si votano le liste, piuttosto che i singoli candidati. Insomma, unitarie, concordate o contrapposte che siano, le liste sono sempre controllate e fuori della prevista "obbedienza", non è permessa alcuna forzatura.

Abbiamo dedicato alcuni capitoli alla descrizione delle varie liste e abbiamo evidenziato come anche le formalmente dichiarate liste contrapposte, siano spesso delle liste concordate. Le vere liste contrapposte scattano quando qualcuno ha saputo acquisire il diritto di sedersi intorno al noto tavolino, ma ne non accetta le imposizioni.

Ne parleremo, ma molte cose sono già state dette, dunque, tra pochi capitoli procederemo con la “diretta” del congresso tipo.

 

 

Ti racconto la politica 42

(Liste contrapposte per punire)

 

Occorre essere consapevoli che la politica gestisca la nostra vita e scelga per noi. Piaccia o no, è così, dunque non ha senso essere impulsivi, né usare i soliti slogan da popolo impreparato né sentirsi intelligenti e forti perché si è apolitici.

L’apolitico è intelligente come chi subendo l’attacco di uno squalo, si dichiara “asqualico”.

Il popolo è piegato da una classe politica dirigente infame; è sbagliato parlare di attacco di “squali”?

Già trattate le liste unitarie (capitolo n.34), chiuse e aperte (capitolo n.36), concordate (capitolo n.37) e contrapposte (capitolo n.38), concludiamo qui la descrizione delle varie liste, segnalando il fine “punitivo” che caratterizza spesso le liste contrapposte. Un congresso di partito che va a liste contrapposte, viene descritto come espressione ricca per l’ampia dialettica interna e virtuosa per la capacità di trovare sintesi nel rispetto della maggioranza; peccato che tali dichiarazioni siano solo delle ipocrisie destinate a quel pubblico, purtroppo vasto, incapace di farsi delle opinioni diverse da quelle che gli vengono emotivamente “suggerite”.

Di là dei comunicati che puntano al plagio, i congressi a liste contrapposte sono rari ma si attuano quando il più volte citato tavolino del preordino dei congressi, non riesce a raggiungere un accordo. Insomma, si va a liste contrapposte quando qualcuno ha raggiunto la forza di non poter essere escluso dal “tavolino”, ma non si assoggetta ai  “preconfezionamenti”.

In presenza di un indipendente o “disobbediente”, il congresso andrà a liste contrapposte per isolarlo e punirlo; la spregevole tecnica che si usa è molto “matematica”, ma vediamo di capire come funziona.

Le liste presentate come contrapposte ma di fatto concordate, sono due, talvolta tre. In linea di massima, la prima elegge il 51% dei dirigenti, la seconda il 32% e la terza il 17%.

Invece, se il disobbediente non accetta i “giochi” del tavolino e presenta la sua lista, allora il partito si coalizzerà contro di lui.

Le liste contrapposte stanno a significare che il partito organizza più liste che si contrappongono a quella di chi non accetta i “preconfezionamenti” del tavolino; insomma, forma tante liste quante ne servono per procurare il massimo danno alla lista disobbediente.

I numeri variano da partito a partito, ma il succo è sempre quello. Su quattro liste, per esempio, la prima piazza il 50% dei dirigenti del partito, la seconda il 30%, la terza il 12% e la quarta l'8%; calcolati con buona approssimazione i voti della lista “disobbediente” (sapete già come), si fa in modo che due liste le arrivino davanti e una, con pochissimi voti, dietro. Arrivando terza, la lista “disobbediente” vede ridotta la propria percentuale per la presenza della quarta lista.

Demordere è però da ansiosi; i partiti prepotenti sono in equilibrio precario e un attacco, anche minoritario, genera forti crisi.   

La politica malvagia deve essere combattuta, ma occorre sapere come.

 

 

Ti racconto la politica 43

(Il disobbediente)

 

Il “disobbediente” anticipato nel capitolo n.42, rappresenta un cittadino convinto d’impegnarsi in politica secondo correttezza, dunque, diverso dagli “yes man” citati nei capitoli n.26 e n.27 e diverso anche dagli odierni chiassosi e sedicenti rivoluzionari.

In democrazia, i numeri e le idee sono determinanti, ma occorre distinguere. Il potere politico italiano è ipocrita e disonesto, però si chiama “democrazia” e abusa di tale importante concetto, permettendosi le prepotenze che vuole. Nelle sua rivalsa politica, il popolo deve invece ossequiare la regola democratica e se non lo fa, ovvero se commette violenza, oltraggio, vilipendio alle istituzioni o quant’altro, allora sarà fermato anche brutalmente, arrestato e bloccato con modi perfino criminali che, alla fine, risulteranno legittimi. Nella sintesi, il popolo è vittima di un apparato pubblico che si fa le leggi che vuole e se è il caso, le infrange come vuole; al popolo è invece dato di opporsi alla repressione che subisce, solo se rispetta la regola democratica.

Le regole sono elucubrate da un apparato istituzionale che sa “ignorare” perfino la presenza di delitti mostruosi ma che, un esempio tra tanti, è implacabile con chi non versa i denari oggetto della sua estorsione.

Un apparato istituzionale falsamente democratico, non ha paura di un popolo disordinato e chiassoso, ma di un popolo che sa organizzarsi, pertanto, usa la sottile arte del plagio per creare quell’esercito di sprovveduti a cui mettere in bocca le mille frasi fatte che danno l’illusione di possedere una forte personalità, ma che di fatto omologano la più massificata libertà d’opinione.    

Un popolo governato da politici infami, non è privo “peccati”; fa spesso dell’inutile “rumore” senza sapersi organizzare in modo indipendente dall’emotività e ha talvolta vizi e colpe gravi come quelle dei suoi politici.

Non si può pensare che non esistano strategie in grado di dare efficacia alla rivalsa politica popolare, ma occorre capire che non possono nascere ed esistere all’insegna dell’incompetenza, dell’emotività e della presuntuosa improvvisazione.

Un contenuto gruppo di cittadini organizzati, per esempio, può eleggere dei dirigenti “svincolati”, presentando una lista contrapposta in un partito; nella nostra storia recente, c’è chi ha dimostrato, purtroppo nel male, che un manipolo di uomini può cambiare i connotati di un congresso, eleggere il “capo” del partito e nominare perfino il presidente del consiglio.

Ancora per esempio, si organizza una squadra popolare fuori della mischia e si “affianca” un soggetto politico esistente, per rinforzarlo e tenerlo sulla retta via.

Infine, previo numeri maggiori, si può dare genesi a un nuovo partito che però sappia come non farsi “espropriare”, per rimanere proprietà dei cittadini.

I meccanismi descritti in questo corso, spiegano che i percorsi popolari utili esistono, ma fuori dell’enfasi e del chiasso.

Caro popolo, tronca ogni fissazione e trova l’umiltà di capire come si fa squadra, diversamente, sarai abusato come un pedofilo fa con i bambini.

 

 

Ti racconto la politica 44

(Utili o inutili i partiti?)

 

Una domanda, quella del titolo, che spinge al moto la lingua di impulsivi, sprovveduti, “sapientoni”, sedicenti rivoluzionari,  quaquaraquà e quant’altro.

Il partito politico è un mezzo; esso non è condannabile in quanto tale, ma per l’uso che se ne fa.

Poniamo di noleggiare un’automobile e di utilizzarla per andare da qualche parte provvedendo al carburante e a ciò che serve, dunque, di tornare indietro, riconsegnarla al noleggiatore, pagare il dovuto e concludere l’operazione.

Poniamo che dopo di noi, delle altre persone noleggino la stessa automobile e che questa volta la usino per fare una rapina in una banca; secondo voi, la colpa dell’uso che se n’è fatto in questo secondo caso, è dell’automobile?

La nostra democrazia, certamente amministrata in modo infame, è del tipo parlamentare rappresentativo e il partito politico è lo strumento che serve per rappresentare l’istanza del popolo nelle istituzioni.

Il partito politico è uno strumento necessario e se, mossi da preconcetto, ne cambiassimo il nome e lo chiamassimo alipallas, elifrottolo, paduculo o in qualche altro modo, la sostanza non cambierebbe e rimarrebbe il mezzo per rappresentare il popolo nelle istituzioni parlamentari; resta ovvio che se gli uomini che lo dirigono sono degli infami, allora il mezzo, partito politico o comunque si chiami, sarà infame.

Noi, noi popolo, ci facciamo derubare di tutto e i partiti politici sono la testimonianza della nostra incapacità di fare gruppo per difenderci dai soprusi della politica satanica che ci opprime.

Politicamente impulsivi come siamo, non è insensato pensare che se oggi avessimo la democrazia diretta, saremmo ancora più vittime dell’ingordigia di chi ci governa; del resto, continuiamo a credere nel privilegio popolare dell’istituto del referendum, nonostante sia proprio il potere politico che, da decenni, mette sulla bocca del popolo i temi che vuole, col fine di abrogare le leggi che intende modificare a suo vantaggio e riproporre con un nuovo nome … anche questa  condanna deriva dalle nostre dannate fissazioni.

Una democrazia, sebbene falsa, non può fare a meno dei partiti, dunque, un popolo avveduto non affermerebbe, ad ogni piè sospinto, che i partiti siano già troppi, ma capirebbe la loro la funzione popolare e non se li farebbe “espropriare” dalla masnada di filibustieri che, meno imbottiti di stupidi slogan, sanno che il partito politico è l’anello che collega al potere.

Il partito politico “modella” le istituzioni; occorrerebbe smetterla di farneticare, dunque realizzare un soggetto politico popolare in grado d’essere efficace e di non farsi espropriare da quanti, meglio del popolo impulsivo, sanno cogliere le potenzialità del mezzo, purtroppo nel male.

Non esiste baccano, istantaneità, impulsività o fissazione che possano condurre a una politica popolare efficace e avveduta. Questo corso, interamente dedicato a sensibilizzare sulla vitale utilità della conoscenza della politica e dei suoi meccanismi, afferma che la popolare pretesa di semplicità, non rende semplici le cose.

 

 

Ti racconto la politica 45

(Plagio, vessazione e apatia)

 

La politica progetta la libertà dei popoli e gli ordinamenti degli Stati progettano la politica.

Alla reclusione fisica, che non è l’unica forma di restrizione della libertà, si aggiungono molti soprusi che la modernità evolve in modo “raffinato”.

È di moda la democrazia, ma essa si presta all’ambiguità e certi sistemi politici pongono detta nobile parola in cima alla terminologia del plagio per sfruttare il popolo; il regime politico italiano è ignobilmente tra essi e i cittadini, nonostante l’incombenza di una letale spada di Damocle, sono ogni giorno più incapaci di opporsi e difendersi.

La democrazia non può che promuoversi e confermarsi attraverso precisi meccanismi, ma il popolo bolla tutto come complesso e non percorre più l’impegno della conoscenza.

Siamo sempre d’accordo nel riconoscere che l’esperienza e la competenza siano la base di ogni impegno in qualsiasi attività umana ma, stranamente, riteniamo spesso che la politica sia praticabile in modo emotivo e non razionalmente. 

Assumendo come verità, la verità che più ci eccita e ci piace, noi rinneghiamo l’intelligenza.

La democrazia, già nel suo significato etimologico, prevede il popolo quale massimo protagonista, ma se il popolo se ne lava le mani o si mette a presumere delle assurdità, allora la democrazia si trasforma in un regime ambiguo che punta a sottomettere lo stesso popolo e a inculcargli convinzioni, linguaggi, logiche e atteggiamenti che lo rendono politicamente perdente e ininfluente.

Nella principio, per esempio, dell’unione che faccia la forza, il concetto di moltitudine prevale sul concetto di preparazione … ma una massa “superficiale” non può essere potente neppure nella ribellione, dunque, trasfigura la forza in stupida veemenza.

L’idea più inutile della politica popolare di oggi, è supporre che il “rumore” renda forti.

Si è creata una logica popolare patologicamente incapace di suggerire azioni di rivalsa politica efficaci, ma anche una mentalità che dissacra tutto, fuorché l’idolatria per quella logica insensata.

Una democrazia falsa e deviata come quella italiana, lascia scorrazzare chiunque dove vuole, ma crea dei girovaghi che cedono all’apatia e altri che s’illudono di trovare spazio nell’arroganza della presunzione.

Da una parte ci sono le nostre istituzioni ingorde e ormai nemiche del popolo, mentre dall’altra ci si sfoga nell’orribile trappola dell’inconcludenza.

Sembriamo in cammino verso il brutto futuro descritto nei libri dell’Apocalisse.

In quest’assurda contingenza, qualsiasi cosa può essere infangata, denigrata e offesa, perché ci mostriamo incapaci di riorganizzare anche le più elementari forme di reciproco rispetto.

Nei capitoli n.43 e n.44, abbiamo affermato che gestire un partito senza farselo “espropriare”, sia una delle possibilità di rivalsa popolare, inoltre, in più occasioni precedenti del corso, abbiamo descritto come sia possibile non farsi gabbare nei congressi; conoscendo i meccanismi descritti, il popolo potrebbe essere protagonista e non perdere ciò che gli appartiene.

La nostra preannunciata “ripresa in diretta” di un congresso tipo, inizierà tra pochissimi capitoli.

 

 

Ti racconto la politica 46

(Vecchi partiti nuovi)

 

Di qualsiasi tema, settore, attività, impegno o quant’altro si tratti, occorre avere almeno un pizzico di oggettiva conoscenza prima di mettersi a “volare” in polemiche, se non addirittura in fantasie strategiche.

Nulla esula da questo presupposto e meno che meno, la politica. Le libertà di pensiero, parola e opinione non costituiscono automatica competenza e chiunque pensi di addentrarsi in discussioni varie, basandosi sulla verità che più gli piace e non su un’informazione oggettiva, crea danno a se stesso e alla società che vive ormai nella confusione e nell’improvvisazione.

I tempi sono diventati nevrotici ma non ci si può illudere di fare presto, cadendo nel tranello della superficialità che c’imbottisce di frasi fatte e preconcetti.

Troppe discussioni appaiono improntate sul presuntuoso e pretestuoso divagare dell’incompetenza; in tema di politica, questo corso è impegnato a dare informazioni corrette e autentiche.

Non può esistere indugio nell’affermare che circa la politica popolare, i “vizi” sopra accennati, siano diventati infestanti.

Come si è più volte ripetuto, il partito politico è lo strumento democratico di accesso alla gestione delle istituzioni, dunque, alla determinazione dello stile di vita e al livello di libertà del popolo.

I signori “so tutto io” non danno mai prova di capacità strategica e i nuovi partiti nascono già vecchi, perché sono soprattutto iniziativa di navigati filibustieri che cercano di rimanere abbarbicati a facili “rimunerazioni” istituzionali, dirette o derivate.

In democrazia, lo strumento del partito politico ha opportunità determinanti, ma è stato furbamente reso inviso al popolo; in tale modo, è rimasto esclusiva di lestofanti che, al contrario dei signori “so tutto io”, sanno come adoperarlo.

Oggi, la prima causa della nascita di partiti nuovi è il tentativo di mantenere vizi e privilegi ai quali certi individui hanno avuto disonorevolmente accesso. In ogni area, progressista o moderata che sia, esiste sempre un manipolo di sporchi "eletti" pronti a riunirsi all’insegna del partito nuovo, per indorarsi ingannevolmente in nome della "giusta causa".

D’altro canto, tutto ciò che il popolo replica a detti impostori, sono le inutili incitazioni di vanagloriosi pieni di sé che inventano partiti e gruppi, nella convinzione d’essere i messia di turno o quanto meno degli illuminati rivoluzionari.

Tra esperti traditori da una parte e palloni gonfiati dall’altra, l’Italia non sa ancora evidenziare alcuna capacità politica popolare di fare squadra.

Si scambia l'ignoranza urlata, per onestà e coraggio ed è facile raccogliere consensi, abbaiando sciocchezze dal pulpito di un partito nuovo.

In questo modo, l’azione dei partiti nuovi offende e rovina la democrazia; i partiti dei parassiti che si riciclano, creano prima dei grossi danni e poi muoiono, invece, quelli popolari creati  dai signori “so tutto io”, abortiscono ancora prima di nascere.

Un partito nuovo e serio nasce in altro modo … magari da una forte unione popolare di cittadini umili, senza vanaglorie e aperti alla conoscenza.

 

 

Ti racconto la politica 47

(Mille tra i peggiori)

 

Il capitolo numero cinquanta, come sappiamo, aprirà il “sipario” della simulazione di un congresso tipo. Vedremo, in una sorta di diretta, l’applicazione dei mille trucchi e veleni fin qui riportatiti nel corso che, tra l’altro, è orgoglioso d’averli descritti per permettere al lettore di capire ciò che si nasconde dietro le quinte, dunque, di non fantasticare tra emotive supposizioni, com’è un po’ tipico di troppi italiani.

In attesa dell’apertura del sipario, ci prendiamo la libertà di qualche riflessione. La messinscena dei congressi elegge i dirigenti di partito (capitolo n.9) che, a loro volta, nominano o fanno eleggere gli “abitanti” delle istituzioni, parlamentari comprese. È saggio non fare di tutte l’erbe un fascio ma, cari deputati e senatori, dunque, presidenti del consiglio, ministri, sottosegretari eccetera, pur considerando la distinzione tra chi costringe e chi è “costretto consenziente” o semplicemente inefficace, voi siete mille tra gli italiani peggiori. Chi avrebbe mai detto che la vostra cerchia si sarebbe fatta detestare tanto? Non basterebbero i fogli della Divina Commedia per descrivervi con dovizia di particolari, ma ci accontenteremo di una sintesi; i mille garibaldini si sono dati da fare per tirare insieme l’Italia e voi mille la distruggete.

Vi siete riempiti d’autorità ma siete privi d’autorevolezza e vi circondate di un intorno che vi assomiglia.

Ribadiamo che non si può fare di tutte l’erbe un fascio, dunque, non siete tutti uguali, ma è inconfutabile che la vostra squadra produca l’infelicità del popolo italiano.

Alle vostre ampollose parole fa seguito ogni insufficienza e nonostante certe sceneggiate, apparite sempre attenti a non valicare mai quel confine che vi mantiene all’interno del parassitismo istituzionale.

Nel caso, più volte dichiarato ma mai attuato, di un membro della squadra che voglia cambiare e migliorare le cose, ecco che minacce e coercizioni piegano ogni poveretto ai vostri usi.

Il popolo sa del vostro parassitismo e sa pure che, col voto di scambio, portate alle urne il capillare “acquisto” di molti opinabili cittadini; ma la matematica è matematica e voi siete in un vicolo cieco che esaurisce la possibilità di reperire altri quattrini per ulteriori “acquisti”; è per questo che puntate a leggi elettorali e referendum che assicurino maggiore potere pur in presenta di meno voti?

Blaterando sul suo bene, avete tolto ogni rispetto al popolo che si è stancato e pensa di voi ogni male. Siete retorici e parlate di una società che non esiste. Affrontate ogni tema con ipocrisia e nella vostra mente, nulla è più importante del rimanere abbarbicati ai vostri delinquenziali privilegi che avete trasformato in legge. Prendere in giro la società con le vostre rappresentazioni del reale, ma la società non vi sopporta più. Così come siete, siete inutili, anzi dannosi … arriverà il tempo che vi spazzerà via, pur se rimarrete ancora un brutto peso per qualche lungo anno. 

 

 

Ti racconto la politica 48

(Politici deviati)

 

In 48 brevi capitoli, abbiamo raccontato alcuni vizi dei partiti che, nonostante i nostri appelli, nessuno ha smentito. Ce ne sono ancora e noi restiamo qui per raccontare; si tratta di usi prepotenti e indegni, mai contemplati negli statuti o regolamenti.

Oggi, il partito politico è utilizzato in modo assai diverso da come era stato inteso dal costituente che aveva creato uno strumento per rappresentare l’istanza popolare nelle istituzioni, così interpretando il desiderio dei cittadini italiani che credevano nella nascita della democrazia. Gli anni sono passati e pochi di quei galantuomini costituenti sono rimasti in vita, ma si rivolteranno nella tomba nel vedere che scempio si è fatto della democrazia e a quale uso criminale sono stati destinati i partiti politici che, ripetiamo per l’ennesima volta, sono l’unico strumento che il popolo ha a disposizione per fare valere le proprie ragioni, ma del cui uso e fine ha capito davvero molto poco. Il partito politico è il vero strumento della democrazia rappresentativa, ma mentre la chiassosa superficialità del popolo lo annovera tra le cose inutili e obsolete, c’è invece chi ne ha capito le potenzialità e lo usa per crearsi poteri e privilegi che tutto sono tranne che democrazia.  

Dai cosiddetti “nuovi ordini mondiali” alle più arcane intese che affascinano la fantasia politica popolare ma, più realisticamente, alle organizzazioni malandrine del signoraggio a quelle finanziare, economiche, criminali e quant’altro, una cosa è certa: per accedere alle istituzioni e riceverne l’attenzione e i favori, tutti, proprio tutti devono intendersi con i partiti politici. Del resto, se così non fosse, non si spiegherebbe l’enorme “energia” impiegata per manipolare e controllare fino all’ultima minuzia i congressi dei partiti; questo corso ha descritto in più capitoli i disgustosi meccanismi di controllo e dall’imminente capitolo 50, inizierà la simulazione della diretta di un congresso tipo.

Il principio dello strumento rappresentativo del partito funziona ed è valido, ma il popolo si è dedicato alle più stupide esibizioni politiche, lasciando il campo aperto ad ogni organizzazione che ha invece usato i partiti per sfruttarlo e opprimerlo.

L’attività dirigente dei partiti nasce e prende l’imprimatur dai congressi che, popolo assente, sono lasciati liberi di compiere i loro infami trucchi per condurre le cose come vogliono fino ad attrarre anche individui deviati, cocainomani, lussuriosi, pedofili, ingordi, superbi, avari, disonesti e immondi.La società popolare ingoia ogni giorno gli amari bocconi di questa realtà che, troppo spesso, s’illude di combattere col l’estemporaneità e col chiasso.Tornando a noi, i “veleni” da descrivere sono ancora tanti; leggere aiuterà a conoscere l’uso distorto che si fa dei partiti e dei loro congressi che controllano ogni dettaglio (capitoli  n.23 e n.41).Nei capitoli successivi, percorreremo l'esempio di un tipico congresso tratto dal vero e faremo una sorta di cronaca in diretta che inevitabilmente incontrerà abusi, intimidazioni e brogli.

 

 

Ti racconto la politica 49

(Per chi vuole capire)

 

Un popolo fa pace con l’intelligenza, quando la serenità dei liberi batte l’agitazione dei fissati.

Sanno come si fa; loro, cioè gli indegni che assurgono al potere per sfruttare il popolo, sanno bene quale iter percorrere per trasformare in azioni legittime i loro ingordi disegni. La via per accedere agli strumenti del potere politico esiste, solo che i malandrini la conoscono fino nei minimi particolari, mentre il popolo, almeno certo popolo, non sa neppure cercarla.

La democrazia, vera o falsa che sia, deve tenere in piedi l’istituto del voto e fuori del riunirsi sensatamente in squadra, non esiste alcuna possibilità popolare di vincere, neppure la rivoluzione.

Nella massa popolare vi sono due comparti deleteri; da una parte c’è una certa quantità di cittadini vili o indeboliti che il potere malandrino corrompe e trasforma in “servitori”; dall’altra invece, tanto spinta dal plagio quanto dall’impulsività, c’è una sorta di “multi massa” di pessimisti, apatici, apolitici, solitari, illusi, permalosi, palloni gonfiati e idioti rivoluzionari che portano il popolo a dividersi nei mille rivoli dell’impotenza politica.

Un potere ingordo che si autodefinisce democratico, vuole ridurre al minimo il peso del voto popolare, dunque, “controlla” i congressi, i referendum, le stesse elezioni e delibera leggi elettorali e norme tali da rendere decisivi i voti di chi ha raggiunto e corrotto; per contro, “aiuta” gli altri cittadini, quelli della citata multi massa, a sparpagliarsi al seguito di mille sedicenti leader pieni di megalomani fissazioni e promotori di una giungla di acronimi che portano il popolo alla totale incapacità di farsi rispettare.

Questo corso vuole fornire la conoscenza che una squadra popolare deve possedere per tenere testa al perfido nemico, nel vero campo di battaglia in cui può affrontarlo.

I parassiti della politica, usano i partiti per darsi potere con la giustificazione democratica dei numeri, dunque, è nei loro stessi ambiti d’esistenza che vanno colpiti. Il popolo però non l’ha ancora capito e i “colpi di mano” che portano al potere, Presidenza del Consiglio compresa, sono intanto esclusiva delle peggiori squadre di malandrini. Eppure, i numeri del potere criminale sono bassi e un popolo che capisce come organizzarsi, può averne facilmente ragione.

In un partito di potere, si può intervenire anche per fini rispettosi e onesti, ma è necessario sapere come. In questo Paese ci sono invece troppi vanitosi che adorano essere presidenti di qualcosa e più  rappresentano il nulla e più si riempiono la bocca per dire "il mio partito", nel senso del partito fatto da me; in ogni angolo, c'è un vanitoso impreparato che fonda un partito nuovo che non andrà da nessuna parte.

Quanti hanno inteso, trovano in questo corso la conoscenza per competere e battere la politica dei vessatori. Nel prossimo capitolo 50, alzeremo il sipario della simulazione del congresso … chi lo vince, ha il potere.

 

 

Ti racconto la politica 50

(Cronaca di un congresso) parte A

 

Non conoscendo i trucchi dei bari, ti siederesti al loro tavolo di poker per giocare importanti cifre di denaro? Normalmente non dovresti sederti, ma se sei uno di quelli che si credono forti anche nelle cose che non sanno, allora ti siederai; in tal caso, saresti un soggetto che procura la propria rovina e quella di altri. È saggio chi pensa che la megalomania, la presunzione e l’emotività non debbano prendere il posto della riflessione e dell’intelligenza … almeno per non perdersi nei  vicoli ciechi dell’inconcludenza e non indurre nessuno a farlo.

Nella fattispecie, se non sei mai stato direttamente e personalmente dentro il “palazzo” del potere politico, è davvero difficile che di quel palazzo tu sappia qualcosa.

Ne sei diretto bersaglio, dunque ti lamenti giustamente delle angherie con le quali il malvagio potere politico nostrano ti opprime, cerca però di non fare parte di quel popolo che, fuori delle inutili fantasie, non sa mai suggerire un modo vero ed efficace per procurarsi il potere necessario a difendersi. I “bari” si possono battere, ma non affidandosi a banali strategie.

Ora, andiamo al tema portante del capitolo e avviciniamoci al palcoscenico del congresso per accendere le “telecamere” della diretta. Teniamo sempre presente che i congressi eleggono, non del tutto democraticamente, i dirigenti dei partiti e che i partiti sono il collegamento di qualunque potere con le istituzioni politiche e amministrative. Gli interessi, malavitosi o regolari, economici, culturali, corporativi, assistenziali, industriali, finanziari, bancari, visibili o occulti che siano, passano dai dirigenti di partito che, come traghettatori, li smistano verso le "attenzioni" del potere e delle istituzioni. I congressi dei partiti sono genesi degli accennati “smistamenti”. Ciascuno la pensi come libertà d’opinione crede, ma capisca che l’Italia popolare non avrà  mai ragione finché seguirà l’urlo di esuberanti “profeti” che non sanno nulla.

Letti i 49 capitoli che precedono, possiamo assistere alla diretta congressuale e capire quanto accade, formandoci una conoscenza oggettiva non storpiata da emotive fantasticherie.

Descriveremo ancora molti "veleni", ma adesso accendiamo le telecamere.

Negli scopi, i congressi sono tutti uguali, dunque, riprenderne uno è come riprenderli tutti.

E’ venerdì, sono le dieci di sera e i registi della messinscena congressuale si occupano degli ultimi ritocchi; arrivano le undici, poi mezzanotte e poi chissà; domani o forse oggi, il partito è a congresso e ogni cosa deve essere al proprio posto.

Siamo alla cronaca di una delle danze delle miserie umane, una danza che i partiti politici conoscono e che i semplici cittadini ignorano del tutto. Saranno eletti, si fa sempre per dire, i nuovi dirigenti del partito in una farsa di democrazia estetica che manterrà il congresso comunque a galla, anche nel mare dell’infamità.

Quanti seggi, quali scrutatori? Chi presiede l’assise, quali i primi oratori, chi sarà al banco della verifica poteri? Le telecamere sono accese.

 

 

Ti racconto la politica 51

(Cronaca di un congresso) parte B

 

I congressi si svolgono in base ai livelli territoriali, dunque, possono essere locali, cittadini, provinciali, regionali e nazionali. Come sappiamo dai precedenti capitoli, si celebrano per eleggere i dirigenti di partito che sono previsti nei vari livelli. Fino alla dimensione provinciale, ogni iscritto che ne ha diritto esprime un voto, invece, nella dimensione regionale come nella nazionale, il voto avviene tramite delega, cioè tramite delegati che portano il proprio voto e quello di altri. Viene da sé che nei congressi provinciali, oltre ai dirigenti, si eleggono i delegati al congresso regionale che a sua volta elegge i delegati al congresso nazionale.

Pur variando per la dimensione territoriale alla quale si riferiscono, i congressi si assomigliano e adoperano tutti gli stratagemmi che sono stati descritti nei passi di questo “racconto”.

In genere, i congressi si svolgono in un luogo unico ma, specie nel caso di territori dalla forma allungata, è possibile che si celebrino in contemporanea, in più luoghi della provincia. Anche per capire come si eleggono i delegati ai congressi superiori, la nostra cronaca si riferisce a un congresso provinciale che ha fissato il primo seggio e l'assemblea nel capoluogo, più tre seggi in tre paesi diversi.

I congressi di maggiore dimensione possono durare un paio di giorni e in genere hanno inizio il sabato mattina non prestissimo; i congressi minori, si risolvono in una domenica.

Il luogo è un teatro, un cinema, una sala d’hotel o un qualsiasi spazio in grado di ospitare il numero previsto di partecipanti, gli interventi degli oratori e lo svolgimento delle varie  fasi tecniche.

I congressi sono una sorta di tallone d’Achille dei partiti ma, come le elezioni pubbliche,  devono essere celebrati perché non si può sopprimere la “parvenza” di democrazia, dunque, si manipolano all’occorrenza, fino a contraddire perfino i più basilari principi morali. Quanto appena espresso, non deriva da una sorta di fanatica sfiducia, ma da fatti e comportamenti che hanno fatto desumere con chiarezza che i partiti, come le istituzioni, farebbero volentieri a meno dell’istituto del voto. 

Ogni congresso, dunque anche quello sul quale abbiamo puntato le nostre telecamere, è stato programmato e stabilito fino al più piccolo particolare, durante le sedute del tavolino del preordino che abbiamo descritto nel capitolo n.23 e richiamato in altre occasioni.

Capi e pacchettari, che sono in genere tra i primi ad arrivare, hanno fissato a tavolino, per i fatti loro, i presidenti di seggio, ma c'è pure il “disobbediente” (capitolo n.43) che ha costretto a celebrare il congresso a liste realmente contrapposte e che ha diritto ai suoi scrutatori o rappresentanti di lista.

All’interno della location congressuale, abbastanza prossima all’ingresso, è già in funzione il cosiddetto “banco della verifica poteri” che dovrà riconoscere non tanto i semplici astanti, quanto chi ha altre mansioni e chi voterà.

Il congresso è iniziato.

 

 

Ti racconto la politica 52

(Cronaca di un congresso) parte C

 

È sabato mattina e l'inizio del congresso è fissato nella sala “Pinco Pallino” del centro convegni “Tal Dei Tali”, per le ore nove in prima convocazione e per le dieci, in seconda.

Quello della prima e della seconda convocazione è un uso antico che serve a “schivare” i quorum di presenza all’apertura del congresso, per la sua validità. In sostanza, all’apertura delle ore nove, la validità scatta in presenza del quorum (in genere il 51%) degli aventi diritto, mentre alle ore dieci diventa legittima, ovvero a norma di statuto, ogni percentuale; di solito, prima delle ore dieci, c’è poca gente.

Cos'è il banco della verifica poteri?

È un semplice tavolo attiguo alla sala d’ingresso del congresso, in cui sono presenti degli addetti che "verificano" le mansioni di chi arriva per partecipare. Documenti alla mano, si controlla se sei in lista per gli interventi oratori, se sei giornalista, se sei scrutatore o quant’altro, ma il controllo più importante è se hai il diritto di voto, si controlla insomma la tua tessera d’iscrizione. L’importante è che il nome scritto sulla tessera esibita, risulti tra gli aventi diritto, poi, se si tratta della tessera di una lapide del cimitero o di un abbonato preso alla rinfusa dagli elenchi telefonici o di un cognome scritto sulla pulsantiera dei campanelli di un condominio, come spiegato nei capitoli n.5 n.6 e n.18, si va dall’addetto che non fa troppe domande.

Le nostre telecamere stanno riprendendo il raro caso di un congresso a liste davvero contrapposte (capitolo n. 38) e se durante i movimenti di partecipazione, si ha la sensazione che i sostenitori della lista del disobbediente superino il previsto o l’accettabile, anche di poco, ecco che un po’ per volta si presenta al banco della verifica poteri una manciata di "morti o abbonati telefonici", con tanto di tessera. In questo caso, basta la tessera, la sola tessera; c’è fretta, c’è marasma, si è in pieno svolgimento del congresso e magari nella sua fase fondamentale, cioè le operazioni di voto, dunque, occorre fare presto e per determinati addetti al banco della verifica poteri, l’esibizione della tessera “dimostra” tanto l’iscrizione quanto l’identità. Del resto, il congresso è un fatto privato e l’eventuale presenza di agenti di Polizia, è addetta alle questioni d’ordine o di sicurezza e non a quelle intime del congresso.

Al giorno d’oggi, come abbiamo appreso in più capitoli del nostro corso, i numeri di partecipazione alla vita dei partiti politici sono esigui, pertanto ogni cosa è programmata perché le descritte tessere false possano votare. La verifica poteri controllerà invece a pelo e contropelo, i tesserati del disobbediente.

I lavori prendono inizio, ma ecco che nel tal paese accade qualcosa. Due signore sono incredule e offese; erano scrutatrici fino al giorno precedente, ma all’apertura del congresso non lo sono più. Cos'è successo?

 

 

Ti racconto la politica 53

(Cronaca di un congresso) parte D

 

In verità è un tipo di congresso di partito che si celebra più raramente degli altri, ma abbiamo scelto di “accendere” le telecamere su un congresso a liste davvero contrapposte, perché quelli a lista unica o a liste concordate, non hanno praticamente nulla che possa interessare la cronaca, se non l’antidemocrazia per antonomasia che esercita il controllo e la totale programmazione di ogni particolare o fatto che accade nell’ambito delle varie fasi e operazioni.

Il congresso a lista unitaria, infatti, aspetta la seconda convocazione (quella che convalida senza necessità del 51% degli aventi diritto), poi svolge le varie formalità, gli interventi e quant’altro, dunque, vota la lista per alzata di mano all'ovvia unanimità dei presenti (capitolo 34) nel momento assembleare che, guarda caso, sono generalmente poco più di pochi.

Da parte sua, il citato congresso a liste concordate è quasi la stessa cosa; è vero che le liste dei candidati verranno votate al seggio e non per alzata di mano in assemblea, ma sappiamo già (capitolo 37) che, come si evince dalla stessa definizione, sono stati preventivamente concordati tanto i candidati, quanto i voti, quanto gli eletti … del resto, se così non fosse, non si chiamerebbero liste concordate.

Sembra che la democrazia sia solo una facciata; sembra cioè che non abbia alcuna importanza come si vota né come si organizzano i raggiri in nome del voto, conta però che le operazioni di voto abbiano luogo e che siano inconfutabilmente approvate.

In sintesi, c’è la prima convocazione, poi la seconda, dunque l’avvio del congresso; i portatori di incarichi o mansioni, devono prima passare dalla verifica poteri, mentre gli altri entrano direttamente nella sala assembleare dove stanno per iniziare gli interventi oratori … proprio quella sala volutamente scelta perché almeno qualcuno non riesca a trovare posto a sedere. Una sala gremita, indipendentemente dal numero dei posti, è una delle prime notizie per la stampa.

Nei prossimi capitoli vedremo anche con quale criterio si assegnano i posti a sedere in sala e come si sceglie la sequenza degli interventi oratori. Sappiamo già che, finito il congresso a lista unitaria, molti giornalisti riempiranno le pagine della "compattezza e unanimità" del partito celebrante, invece, nel caso delle liste concordate, quegli stessi giornalisti parleranno della grande “dialettica democratica” che caratterizza il partito.

Non dimentichiamo che i congressi "eleggono" i dirigenti di partito che, a loro volta, determinano la vita e le scelte del partito stesso, ma anche delle istituzioni e del sottobosco (capitoli n.1 e n.2).

Dalla corruzione, agli accordi con organizzazioni d’ogni tipo, malavitose comprese, l'oltraggio al popolo e alla democrazia nasce proprio nei congressi.

A proposito, aperto il congresso e giunte alla verifica poteri, le due signore (capitolo precedente) che erano scrutatrici, non trovano più il riconoscimento del loro ruolo; qualcuno ha cambiato i verbali … vedremo come.

 

 

Ti racconto la politica 54

(Cronaca di un congresso) parte E

 

Col capitolo n.50 è iniziata una sorta di ripresa diretta di un congresso tipo; è opportuno ricordare che nella “politica dei politici”, dunque anche in un congresso, il senso di correttezza non determina alcuna priorità.

L’osservazione ingenua e talvolta supponente di certi fatti, non aiuta a capire i trucchi e veleni di cui essi sono intrisi, anche se si sospettano.

Quanto sopra implica che ogni tanto, perfino nel pieno svolgimento di un capitolo riferito a un tema specifico, sia opportuno interporre qualche pausa di riflessione e considerazione.  

Relativo a elezioni pubbliche, congressuale o referendario che sia, il voto popolare è ormai svuotato di gran parte del suo significato e del suo potere, insomma, si tende a trasformarlo in farsa … sarebbe opportuno che il popolo se ne rendesse conto.

Siamo portatori ancestrali di un certo bigottismo o perbenismo che ci trascina a non volere ammettere certe evidenze, ma siamo anche diffusamente d’accordo sul fatto che la nostra democrazia sia una farsa e che una tale democrazia non può esistere né perpetrarsi  se non trasforma in farsa anche il voto.

Nella mentalità popolare si è radicata la facile convinzione che se si vota, allora si è in democrazia ma, come talvolta accade, si tratta di un teorema popolare banalmente sbagliato. Il cinico potere politico che ci amministra, sa bene che è più conveniente adottare espedienti per pilotare il voto, piuttosto che puntare a sopprimerlo. Ciò risponde a una logica perversa ma è lampante il fine di diminuire la massa dei votanti, cercando di dare i connotati della maggioranza politica alla minoranza popolare che vota; le ultime leggi elettorali hanno mirato esattamente a questo.

In Italia, il controllo del voto è un fenomeno assai diffuso che si consuma con l’assegnazione di ruoli pubblici e col diretto versamento di quattrini a individui d’ogni tipo; detto fenomeno ha come capitolo portante il voto di scambio ed è totalmente finanziato con ingentissime somme di denaro pubblico.

In politica ma spesso anche nella quotidianità, la gente italiana tende a classificarsi in due modi: uno è silenzioso, deliberatamente lento, prudente, discreto, intelligente e cinico, l’altro è invece irruente, emotivo, frettoloso, presuntuoso, chiassoso e facilmente esposto al plagio.

In tema di politica, il popolo e il potere hanno “stili” assai diversi; per il primo, la politica è una sorta di sensazione e impulso che dà origine a sfoghi, esternazioni immediate e tante altre cose disgiunte dalla razionalità; per il secondo, cioè il potere, la politica è invece calcolo, strategia e capacità d’attesa che inibisce l’emotività, la superficialità e l’avventatezza.

L’antichità classica, la filosofia e la letteratura ci hanno consegnano la democrazia come una cosa meravigliosa, tuttavia un potere politico falso e cinico come quello che ci amministra, non può essere combattuto con le illusioni che vengono dalla suggestione.

Ritorniamo in sala, il congresso continua.  

 

 

Ti racconto la politica 55

(Cronaca di un congresso) parte F

 

Come affermato in precedenti occasioni, i congressi provinciali “eleggono” i dirigenti del partito e i delegati ai congressi superiori; è opportuno capire l’intrinseco significato di ciò; adesso, ritorniamo però alla nostra diretta.

L’orario della seconda convocazione è arrivato.

I convenuti si radunano qua e là, facendo dei capannelli appena fuori o appena dentro la soglia d’ingresso, dunque, come abbiamo visto nel capitolo 53, iniziano ad ambientarsi. La maggior parte va verso la sala dove a breve inizieranno gli interventi oratori; pochi altri, che entreranno in sala subito dopo, si recano prima alla verifica poteri per il riconoscimento dei ruoli congressuali.

Sembra tutto libero, spontaneo e perfino un po’ goliardico come in un ritrovo di ex amici di scuola o cose del genere ma, a guardarsi bene intorno, è facile notare degli individui che osservano e scrutano minuziosamente tutto.

Si tratta di un’adunanza, dunque c’è la presenza della polizia o dei carabinieri, ma c’è anche un gruppetto di iscritti al partito, ai quali è stato assegnato il compito di vigilare e svolgere una sorta di servizio d’ordine interno.

Nella sala dell’assemblea, ecco bene in vista e quasi sempre sopra un palcoscenico, il tavolo dei relatori.

I posti a sedere delle prime due o tre file di fronte al palcoscenico e al tavolo dei relatori, sono contrassegnati col cartellino “riservato” e destinati alle autorità e a quanti passano per tali.

Nell’area del congresso, c’è una “sala stampa” riservata ai giornalisti che dispongono pure di un tavolo nella sala assembleare.

Il congresso è un rito e come in ogni rito, ha dei precisi passaggi che non sono affidati al caso neppure in minima parte. Vige una specie di codice che impregna l’atmosfera di ogni ambiente dell’area congressuale. È una sorta di gioco di “segnali” che si esprimono attraverso il linguaggio, i gesti  e i comportamenti ... è perfino possibile parlare a un’intera platea, rivolgendosi a pochissime persone.

È sgradevole evidenziarlo, ma i “meno importanti” arrivano sempre prima; capita pertanto di notare la tronfia espressione di taluni che vanno ad occupare la propria poltroncina riservata, mentre c’è già qualcuno che, non avendo trovando posto, è rimasto in piedi.

A fianco del largo tavolo dei relatori che, come affermato, “sovrasta” tutto, c’è un podio con un microfono riservato a chi prenderà la parola per rivolgersi ai presenti.

In quel tavolo, i posti sono assegnati in modo preciso; il segretario o comunque lo statuto definisca il capo del partito, è in un certo senso il padrone di casa, dunque, siederà al centro. I relatori prendono ovviamente posto nella parte del solo lato lungo del tavolo che permette di avere la platea di fronte; può sembrare assurdo che talvolta si tenga in considerazione, ma in quel lato può esistere un posto centrale, solo se i posti a sedere sono dispari … fateci caso.

 

 

Ti racconto la politica 56

(Il “multintrigo” dei congressi)

 

Ricordiamo che i congressi “eleggono” i dirigenti di partito e che questi sono una sorta di ponte con i poteri istituzionali … occorre intuire l’intrinseco legame di detti dirigenti, con quanto descritto di seguito.

Esiste il subdolo tentativo di spingere il popolo  verso una cultura ipocrita e ingannevole del “socialmente” giusto. Si è giunti a istituzioni prepotenti che “inventano” leggi, norme, decreti, regole e delibere che nulla hanno a che vedere col corretto senso del giusto né di morale, equità, libertà, democrazia e rispetto.

Il capitolo n.16 (Realtà e linguaggio) rileva che, seppure nell’illusione d’essere concreti, più si parla per immediata emotività e meno tempo si dà al cervello per riflettere e capire; l’impulsività amputa l’intelligenza.

I “registi” della politica, intesa nell’accezione più negativa, hanno dato vita a una quantità di apparati che mentre dichiarano i più nobili intenti, creano una miriade di regole e balzelli con lo scopo di estorcere denaro al cittadino e di assoggettarlo alla prepotenza istituzionale.

È sempre meno sopportabile che il popolo sia costretto a subire tante prepotenze indegne ma intoccabili, perché rese come “sacre” da questa o quella istituzione pubblica; ciò è una tragedia sociale.

L’essere umano, in quanto perfettibile, non ha alcuna possibilità di creare nulla di perfetto; l’assoluto può esistere nel trascendente o soprannaturale, ma non può fare parte della quotidianità umana.

Ciò è di per sé un motivo razionale e sufficiente perché un ordinamento amministrativo e politico serio faccia propria la libertà del dubbio, ovvero l’intelligente umiltà di capire, ammettere e correggere i propri errori. Qualsiasi apparato governativo, amministrativo, legislativo e politico sarebbe autorevole e degno di stima, se evitasse di usare certa emotività popolare per costruire inganni dalla facciata credibile e se si dimostrasse davvero disponibile a rivedere le proprie posizioni, secondo la coscienza dell’autocritica e la lettura di quello che viene oggi chiamato il feedback popolare.

L’irragionevolezza di cittadini ingenui e talvolta fissati che assumono certa rumorosa inconcludenza popolare come riferimento politico, rinforza la propensione ingannatrice delle istituzioni che trovano facile gioco nel proporre “impalcature”  ingannevoli e difettose, che però presentano come assiomi, ovvero come verità assolute, dunque credibili, da non mettere in discussione.

L’autorità politica non è Dio; essa non merita considerazione se non sa meritare stima.

L’autorità politica italiana dimostra da decenni, di preferire un popolo facilmente ingannabile a un popolo preparato.

Il fine dell’autorità istituzionale si è bassamente spostato dal dovere di tutelare il cittadino, alla cattiveria di avvilirlo e opprimerlo … tutto ciò accade in nome e all’insegna di doveri che vengono imposti come tali ma che non hanno autorevolezza etica per essere tali.

In sintesi, creando dei presupposti “divinizzati” dal concetto di inconfutabilità e perfezione delle norme, si tende a rendere intoccabile l’istituzione che non merita rispetto.

I dirigenti di partito sono parte predominante e attiva nei sopra accennati costumi.

 

 

Ti racconto la politica 57

(Cronaca di un congresso) parte G

 

Scattato l’orario della seconda convocazione e sciolti i capannelli appena fuori e appena dentro la soglia d’ingresso, la gente ha preso posto nella sala assembleare e il congresso è iniziato. In fondo, sopra il palcoscenico, c’è il tavolo dei relatori e a fianco,  il podio dal quale prenderà la parola chi è già in elenco; più in basso, la platea è in attesa. E’ prevista anche la “sceneggiata” di dare la parola al pubblico, ma nei “tempi morti”, per pochi minuti e dal posto a sedere.

Il primo a intervenire sarà un portavoce o la maggiore autorità presente del partito che, come sappiamo, è seduta nel posto centrale del lato lungo del tavolo che guarda gli astanti.

Può capitare che si trasmetta un inno e si proiettino delle immagini. In platea, il silenzio è assoluto. Il primo oratore si alza, esegue con un dito il solito “toc toc” sul microfono per confermare l’ok dell’audio, dunque avvia il più caloroso ringraziamento rivolto a tutti gli intervenuti che s’impegnano presto in un generale e fragoroso applauso.

L’esteriorità è impeccabile; gli astanti, quelli che poco c’entrano con i veri “addetti ai lavori”, sono calati in un ambiente sobrio, elegante, etico … ma, come descritto nel capitolo n. 55, tutto è immerso in una ritualità che è stata prevista, anzi preordinata in passaggi che nulla affidano al caso … una sorta di gioco di “segnali” che si esprimono attraverso il linguaggio, la gestualità e i comportamenti.

Dopo una serie di salamelecchi, il primo oratore entra finalmente nel vivo della questione.

Com’è già affermato, stiamo “riprendendo” un congresso provinciale che voterà delle liste contrapposte (capitoli n. 38 e n. 42); viene da sé che ogni azione sarà indirizzata a “demolire” chi, nelle riunioni anche notturne del tavolo del preordino (capitolo n. 23), non ha permesso di pianificare un congresso a lista unitaria (capitolo n. 34).

Insomma, in mezzo a un fiume, anzi un oceano di nobili parole, effetti scenici, incessanti richiami all’etica, al bene del popolo e quant’altro, il principale scopo del congresso è  riconfermare i vecchi dirigenti e semmai inserire qualche “fedelissimo giovane”, per simulare un po’ di “rinnovamento”; si tenterà di distruggere in ogni modo, perfino architettando denunce all’autorità giudiziaria, quanti non sono allineati.

Esiste la diffusa convinzione popolare che il raggiro, l’inganno, la corruzione, l’ipocrisia e l’ignominia nascano nei palazzi delle istituzioni; detto malcostume ha invece una genesi più lontana che viene proprio dai congressi, dunque dai partiti politici. Da lì, si dirama in ogni ente pubblico, fino alla più piccola amministrazione comunale o biblioteca rionale, secondo il voto di scambio (capitolo n. 28)  e il manuale Cencelli (capitolo n. 30).

La nostra democrazia è ormai diventata la facciata elegante degli inganni peggiori.

Non è per caso se, nel gergo, i congressi sono chiamati “Mercati delle vacche” (capitolo n. 26).

 

 

Ti racconto la politica 58

Purtroppo

 

Alle origini del cristianesimo, la gente si radunava intorno a nostro Signore Gesù Cristo che, tra eccelsi insegnamenti, predicava anche l’umiltà, l’altruismo, la saggezza, la generosità e molte virtù che rendono grande l’essere umano.

Nei secoli e millenni, la cultura ha come ascritto quelle virtù all’etica, al senso di umanità e alla possibilità della persona di condurre un’esistenza degna.

Ciò è semplicemente meraviglioso, ma se Gesù Cristo tornasse tra noi, di nuovo in forma corporea e visibile, a ricordarci ancora quelle eccellenti cose, allora, con i millenni della storia e dell’esperienza, noi non dovremmo più limitarci ad ascriverle alla sola dimensione etica ma dovremmo aggiungere anche quella intellettiva; insomma, dette virtù non rendono grandi solo in ordine all’etica ma anche all’intelligenza.

Invece, gran parte della società ha accolto, preferito e fatto proprio l’egoismo, la maleducazione, l’arroganza, la cupidigia e una serie di cose per le quali l’essere umano si è illuso d’essere furbo, forte e potente mentre, al contrario, è diventato ignorante, presuntuoso e perfino vile e imbecille.

Rinunciando a quegli insegnamenti o più semplicemente al buon senso, l’essere umano ha rinunciato alla propria intelligenza; in questo modo, ha ritenuto superflua la cultura e si è amputata la possibilità di avere una cognizione corretta della libertà e della democrazia.

L’intelligenza, la potenziale intelligenza che, fin da quando nasciamo, è lì a nostra disposizione per aiutarci a trasformare il cervello in mente, è stata squallidamente battuta dalla facile illusione di poter interpretare la realtà attraverso i comodi schemi dei pregiudizi e delle frasi fatte.

Basti pensare, un esempio per tutti, a certa assurda interpretazione del concetto di “concretezza” che, come talvolta inteso perfino popolarmente, non ha nulla a che vedere con la concretezza vera … c’è chi è convinto d’essere concreto, pur non concludendo nulla.

Com’è ovvio che sia, la complessità fa parte della vita e pretendere di cancellarla, è un po’ come avere la presunzione di portare un razzo sulla luna, senza possedere alcuna cognizione per farlo.

Vivere di presunzione, può dare l’impressione di trascorrere un’esistenza da protagonisti ma, di fatto, rende perdenti, deboli e costantemente vulnerabili.

Esiste, inevitabilmente, chi approfitta di quanti vivono nella convinzione che sia intelligente sostituire l’umiltà e la saggezza con la presunzione e il pregiudizio, ovvero con le stupide posizioni d’arroganza delle credenze errate.

In questo corso si parla di politica, dunque, dei personaggi, degli organismi e degli stratagemmi che rendono “grasso” il parassitismo e l’uso, purtroppo indegno, della politica di oggi, approfittando facilmente di quanti hanno sostituito la presunzione alla cultura e l’arroganza alla saggezza.

Abbiamo già elencato una serie di ruoli, organismi, apparati e strutture pubbliche e politiche ignominiose, ma  non esitiamo, neppure per un istante, ad aggiungere in elenco anche l’ignominia dei congressi di partito.

A ritrovarci, con la prossima parte H della “cronaca di un congresso”! 

 

 

Ti racconto la politica 59

 Perfino denunce in malafede

 

Dicevamo nel capitolo 58, che ogni azione sarà indirizzata a “demolire” chi, nelle riunioni del tavolo del preordino (capitolo n. 23), non ha permesso di pianificare un congresso a lista unitaria. La messinscena congressuale è infatti volta a dare ostentazione di un partito fortemente unito, “sicuramente” arricchito dal dibattito democratico, ma anche dalla presenza di un’intelligente sintesi che sa concludersi nell’unità d’intenti.

E’ ovvio, indegnamente ovvio, che chiunque non riconosca la posizione politica espressa dalla lista unitaria e dunque non si allinei, potrà essere ostacolato e minacciato; sì, proprio minacciato. Per infamare l’eventuale “disobbediente” di cui nel capitolo n. 43, non è raro che si passino alla stampa delle notizie inventate allo scopo di attribuirgli, per esempio, un caso di tesseramento falso. Non è nemmeno raro che, tra eventuali iscritti critici nei confronti della prepotenza usata nella gestione del partito, se ne demandi qualcuno alla magistratura, con tanto di denuncia e usando perfino dei testimoni conniventi, magari col pretesto dell’accennato tesseramento falso o cose altrettanto vili; insomma, accade di tutto. Nel prossimo capitolo, giusto per arricchire il richiamo a fatti che sono accaduti e accadono realmente, riprenderemo il racconto delle due signore che erano scrutatrici ma che, arrivate al banco della verifica poteri, non lo sono più. 

Considerando invece che proprio il tesseramento falso (vedi capitoli n. 5 e n. 6) sia una prassi del partito demandata ai  pacchettari (capitolo n. 18), allora ogni ulteriore parola non può che esprimere pesante biasimo per quanti ritengono di adottare tanti e tali abusi.

Dalla lista unitaria, alle liste concordate, alle contrapposte, in questo corso si è dedicato qualche spazio alla descrizione delle diverse tipologie di liste, ma resta il fatto che per i figuri loschi del partito, la formula meno gradita sia quella delle liste contrapposte, ovvero di liste sulle quali non è stato possibile piegare l’eventuale o gli eventuali “disobbedienti” alla prepotenza unitaria imposta da certa dirigenza.

Tornando alla diretta del nostro congresso, tanto la democrazia vera quanto la farsa democratica prescrivono che i candidati siano votati, dunque, saranno allestiti all’uopo gli opportuni seggi, con tanto di presidenti, scrutatori e rappresentanti di lista. In genere, ogni lista riporta un motto, ma si tratta spesso di parole così retoriche e ipocrite da essere ridicole.

Lo scenario che investe i partecipi, in buona sostanza, comprende la sala  congressuale completa di tavolo relatori, podio e platea, quindi la sala stampa, la verifica poteri, i seggi con i relativi addetti, il servizio d’ordine, alcune salette predisposte per incontri ristretti e talvolta d’emergenza, l’ufficio di segreteria del congresso e una serie di ammennicoli che sono utili per fronteggiare qualsiasi tipo d’imprevisto … insomma, se nel capitolo n. 13 abbiamo parlato del “motore e i suoi pezzi”, l’occasione del congresso può essere definita come una sorta di motore, dentro il motore stesso del partito.

 

 

Ti racconto la politica 60

 (Cronaca di un congresso) parte H

 

La democrazia non è certo ciò che ci aspettavamo e qualora avessimo pensato che, tra  le forme di rispetto nei confronti del popolo, essa si fosse sentita in dovere di coinvolgerlo correttamente per conoscerne le aspettative circa l’organizzazione della vita sociale, allora abbiamo davvero fatto un grosso errore. Oggi, purtroppo, la democrazia è divenuta la facciata elegante degli inganni istituzionali più infami; nulla è spontaneo, tutto è pilotato e ne è prova la stessa prepotenza con cui viene messa in moto e gestita la macchina congressuale dei partiti, che stiamo descrivendo da qualche tempo.

Come dicevamo negli ultimi capitoli della nostra “diretta”, ogni seggio ha il proprio presidente e i propri scrutatori; i presidenti sono nominati dai "padroni" del partito, nelle sedute del “tavolo del preordino dei congressi” più volte descritto. Gli scrutatori, invece, sono scelti un po' più “liberamente”. Ogni lista ha infatti diritto a nominare i propri scrutatori, ma viene da sé che tanto nel discorso della lista unitaria, quanto in quello delle liste concordate, si tratti di facili nomine che fanno parte delle varie coartazioni.

Il problema nasce nel caso delle liste contrapposte ma detto caso, invece del confronto che si ama nobilmente definire come “democratico”, determina una serie di soprusi che, tra l’altro, non offrono neppure degli interlocutori a cui rivolgersi.

Come sappiamo, il tavolino del preordino dei congressi non è un organo statutario, pertanto non esiste ufficialmente, tuttavia preconfeziona ogni congresso e prende accordi verbali che, se anche appuntati su qualche pezzo di carta, sono solo delle intese omertose tra le parti. È dunque ovvio che nel corso di una controversia come, per esempio, quella che stiamo per descrivere di seguito, le intese omertose di cui sopra non sono mai utilizzabili quali prova o testimonianza di nulla. In ogni modo, nelle riunioni intorno a quel campione di antidemocrazia che è il tavolino del preordino dei congressi, si è stabilita ogni cosa … seggi,  presidenti e scrutatori compresi.

All'apertura del congresso, domenica mattina nel nostro caso, due signore che erano state indicate quali scrutatrici, arrivano al banco della verifica poteri e apprendono che i loro nomi non risultano in elenco. Gli addetti non sanno ovviamente nulla; loro ricevono infatti gli elenchi con gli incaricati dei vari ruoli e possono solo leggerli.

Insomma, i nomi delle due signore non ci sono e guarda caso, si tratta proprio delle scrutatrici che erano state chieste dai presentatori della lista “contrapposta”.

“Telefoniamo a Roma! Chiamiamo la direzione nazionale! Chiamiamo i Carabinieri! Denunciamo alle autorità! - Urla qualcuno". “Chiamiamo i dirigenti del partito! Blocchiamo il congresso! - Urla qualcun altro”.

I telefonini squillano come aggrediti da quel senso di giustizia per cui gli onesti vanno a morire; ma tutto tace e come sempre accade in questo nostro Paese, anche quest’ingiustizia andrà a consumarsi nella più sprezzante omertà.

 

 

Ti racconto la politica 61

(Facciamo il punto)

 

Ci conosciamo ormai da qualche tempo e i sessanta capitoli che precedono, hanno descritto un po’ di cose, raccontando anche meccanismi e “tortuosità” tali da rendere evidente che l’improvvisazione, l’impreparazione, il chiasso e l’emotività non sono in grado di procurare alcuna possibilità di affrancarsi dalla morsa di politici parassiti e indegni ma anche minuziosamente organizzati.

Da decenni, da troppi decenni, siamo un popolo che propone forme di rivalsa politica così inconcludenti e inefficaci,  da indurre a pensare che non si tratti solo di un popolo perdente ma anche penosamente incapace di capire.

Esuberanti chiassosi credono ancora nella piazzata o nella rivolta, senza rendersi conto che recitano le parole e gli slogan che proprio il potere politico gli mette in bocca.

Nei capitoli che precedono, abbiamo parlato dello schema e delle sue linee, degli uomini di parrocchia, del tesseramento e dei sistemi per falsificarlo, dei “postifici” e delle sgrinfie della politica sul territorio, dei dirigenti di partito, dei delegati, delle correnti e di una serie di giochetti, inganni e truffe che formano l’insieme dei veleni con cui certa politica istituzionale ma criminale,  piega il popolo ai più indegni voleri.

Abbiamo insomma parlato di una sorta di enorme motore e dei pezzi che lo compongono; abbiamo descritto  come si comprano i voti, chi li compra, come si pagano e su quali capitoli del bilancio pubblico gravano.

Abbiamo descritto come i partiti politici determinano anche il più piccolo particolare della vita delle istituzioni pubbliche e come manovrano i congressi da cui prendono genesi i meccanismi che permettono tali sofisticate possibilità di controllo.

Specialmente nel capito n.16, abbiamo parlato di come si adopera il linguaggio per camuffare la realtà e rendere “elegante” la facciata degli inganni più ignobili.

Abbiamo detto dei “pacchettari”, del tavolino del preordino dei congressi, del cosiddetto “mercato delle vacche”, del manuale Cencelli, delle liste unitarie, concordate e contrapposte, chiuse e aperte; abbiamo detto come si scrivono i manifesti e gli statuti politici e descritto anche come viene minacciato e perfino denunciato un eventuale “disobbediente” non uniformato alle prepotenze dei capi della politica del partito.

Bene, anzi male; alla luce di tutto questo, quale appellativo potrebbe essere dato a chi pensa ancora di opporsi a tanta criminale organizzazione, con qualche slogan o incitamento alla piazzata?

Nel vedere tanta inconcludenza nell’azione di rivalsa politica popolare, si resta davvero sgomenti e si comincia tristemente a pensare che il popolo sia trattato come merita.

A tutt’oggi, la democrazia non esiste o noi, per lo meno, non sappiamo meritarla. Il termine democrazia fa però parte del sontuoso vocabolario dell’ipocrisia della politica istituzionale italiana che ha saputo concepire una serie di espressioni per prenderci in giro come  allocchi.

Detestare i politici vigenti non basta; occorre anche prendere le distanze da quel popolo rimbombante e inconcludente che versa debolezza su tutti i cittadini.

 

 

Ti racconto la politica 62

(La Cheirocrazia)

 

L’etimo del termine democrazia, viene dal greco “Demos” che sta per popolo e “kratos” che sta per comando; democrazia vuol dunque dire governo del popolo.

La concezione aristotelica distingue il governo del popolo tanto dalla monarchia, cioè comando di un singolo soggetto quanto dall’aristocrazia, cioè comando di una cerchia di persone.

In Italia, invece, la democrazia non è il governo del popolo ma quello di alcuni, cioè di una cerchia che decide, ma ciò non è da confondere con la sopra citata concezione di aristocrazia che, riferendosi al comando di pochi, vuole che quei pochi siano i migliori. Aristocrazia sta infatti per “governo dei migliori” (aristoi - migliori, kratos - comando). Insomma, la nostra democrazia non è espressione della volontà del popolo, ma della volontà di pochi che, tra l’atro, non sono per nulla i migliori.

Per definire l’odierno squallore della politica italiana, la Grecia antica avrebbero forse usato le parole cheiróteros (peggiori) e kratos (comando), che noi avremmo tradotto in “Cheirocrazia”, ovvero il comando dei peggiori.

La questione, pur nella sua drammaticità, è semplice: ai più non è dato di usufruire dei vantaggi di una democrazia reale, mentre ai meno è concesso di avvalersi dei privilegi di una democrazia che non è certo la democrazia di tutti.

Questo corso, oltre a dare delle informazioni, desidera offrire spunti onesti e non emotivi, per indurre a meditare su come il popolo possa uscire dall’ormai storica inefficacia delle sue forme di rivalsa politica.

I modi per ovviare, possono anche essere semplici ma diventano utopistici in una società che ritiene intelligente la scelta di non partecipare. Un simile atteggiamento sociale avalla le profetiche parole del filosofo Alexis de Tocqueville quando affermò che se il cittadino è passivo, la prima ad ammalarsi è la democrazia.

Eppure, non può non esistere una sorta di tasto sensibile che una volta “toccato”, risvegli tanto l’intelligenza popolare quanto il desiderio di rivalsa.

Abbiamo qui letto delle innumerevoli e sporche prassi che il potere politico vigente, pur definendosi democratico, usa per soggiogare il popolo.

Intervenire per modificare la politica è possibile, ma nulla può essere modificato in un batter d’occhi; occorre organizzarsi fuori dell’illusione, con costanza e capacità d’attesa; queste sono però caratteristiche di una società assennata e non sprovveduta.

Il concetto di squadra è importante, ma gli italiani intendono la squadra come un organismo che deve servirli e non come un organismo da servire; la squadra darà vantaggi a tutti, ma ciò non può accadere nel breve termine. L’autocompiacimento rende deboli e permalosi, mentre esclude dalla possibilità di interpretare il senso oggettivo della libertà; l’intelligente sa mettere in convivenza il proprio individualismo, con lo sprone a capire i vantaggi della conoscenza.

La banale abitudine di confondere l’immediatezza con la concretezza, purtroppo ci allontana ancora dalla possibilità di concepire forme efficaci di rivalsa politica popolare.

 

 

Ti racconto la politica 63

(Politica e modernità)

 

Non è poco lo spazio che questo corso dedica alla descrizione, non senza riscontri reali, delle gravi disonestà che nei decenni i partiti politici hanno trasformato in prassi. La politica può appartenere a chiunque, ma la democrazia non può che essere del popolo.

È ovvio che la partita della democrazia si giochi contro quanti vogliono fare della politica una sorta di prepotenza privata.

Non avrebbe avuto senso dedicare tanti capitoli alla descrizione dei veleni della politica dei disonesti, senza porsi il fine popolare di contribuire a sapere per difendersi.

Qualche decennio fa, noi cittadini, noi popolo abbiamo avuto ragione a iniziare a diffidare della politica ma abbiamo sbagliato ad orientarci verso il disinteresse da essa.

La modernità conferma che la politica sia il modo più acuto per ottenere che si rispetti il popolo ma abbandonando il campo d’azione, ci si macchia della colpa di cui è macchiato ogni disertore.

Chi ha capito, deve continuare a impegnarsi per capire e chi non ha ancora fatto il primo passo verso la conoscenza vera della politica, lo faccia!

La modernità va avanti e chi fa del disinteresse, della superficialità e della presunzione una sorta di cartello, resterà indietro e sarà d’intralcio alla società intera.

L’evoluzione cambia tutto; capita perfino che renda antico ciò che era moderno fino a ieri. Oggi sappiamo, lo afferma la concreta fisica quantistica, che nulla è separato da nulla e nell’età contemporanea, più che nel passato, l’evoluzione tecnologica gioca un enorme ruolo politico; la questione politica entra in ballo in tutto e chi pensa di ignorarla, non ha capito niente. 

Per esempio, anche se certi irriducibili avranno ancora da ridire, dopo lunghi decenni, prendiamo atto dei gravi limiti che ha reso l’emotiva scelta nucleare. Afità, ggiungimento dell'l' rncora per esempio, dopo avere emotivamente pensato che l’apparato pubblico potesse essere una sorta di nostra mamma, oggi vediamo che lo Stato non è amico del popolo ma il suo oppressore.

L’invadenza e la prepotenza delle istituzioni, ostacolano la maturità popolare e fortificano la cultura del disinteresse e della non partecipazione.

L’antipolitica non può migliorare le condizioni sociali della vita e avvicina al potere quanti puntano a trarre privilegi personali alle spalle degli “assenti”.

Qual è la soluzione?

Si può discernere all’infinito ma, nella sintesi, fatta salva la fede nel Signore di cui ciascuno si fa personale carico, gli elementi risolutivi restano la modernità e la cultura per capirla, cioè la politica.

Il futuro apparterrà al popolo che avrà saputo capire, oppure a chi continuerà a sfruttare i limiti dell’impreparazione popolare.

L’evoluzione, anche quella tecnologica, deve essere accolta con razionalità e non con fanatica suggestione; la politica non deve essere affidata alle sparate dell’impulsività ma, al contrario, alla costante sommatoria dei fatti intelligenti e quotidiani che sanno darle senso; se il futuro sarà prerogativa oligarchica o democratica, dipenderà da ciò.

 

 

Ti racconto la politica 64

(Cronaca di un congresso) parte I

 

Riprendiamo la nostra “cronaca di un congresso”, dal capitolo n. 60 (parte H) e puntiamo di nuovo le “telecamere” sulle due signore che erano scrutatrici e che, arrivate al banco della verifica poteri, apprendono di non esserlo più; proprio quelle due signore che, guarda caso, erano le scrutatrici richieste dai presentatori della lista “contrapposta”.

Come di consuetudine, il tavolino del preordino (capitolo n. 23) ha lavorato fino alle ore piccole della notte che precede l’apertura del congresso e sebbene la sua attività, come abbiamo già avuto modo di affermare, non sia ufficiale, esso stabilisce comunque ogni dettaglio del congresso.

Alla chiusura dei lavori del noto tavolino, avvenuta a notte inoltrata, i nomi delle due scrutatrici non sono più quelli di prima; è così e basta, del resto, anche se si tratta di sedute ufficiose, intorno a quel tavolino siedono i “capi”.

L’addetto al banco della verifica poteri, rivolgendosi alle due signore, ripete con garbo che si rende conto del disagio, ma anche che i loro nomi non risultano nell’elenco degli scrutatori.

L'atmosfera si fa pesante e davanti a tali prepotenze, non è un caso se il nervosismo pressa per venire fuori; questo e altri episodi non meno prepotenti, sono abitudine delle attività di partito e i congressi, così come vengono concepiti e gestiti, sono una vera offesa alla democrazia. Inoltre, dato che la forma riesce spesso a contare più della sostanza, se qualcuno ingiuria i farabutti artefici di tali ignominie, finisce perfino col pagarla in nome di una giustizia che talvolta sa essere anche più cieca dei ciechi.

In ogni modo, le due signore non sono più scrutatrici e il presidente del seggio al quale erano assegnate, potrà fare adesso ciò che vuole.

“Chiamiamo il rappresentante di lista! Contiamo gli iscritti che vengono a votare! Corriamo di qua! Andiamo di là” … non ci si dà pace, ma tutto è imbrigliato nella morsa dell’omertà.

Ci s’illude anche di poter ricevere giustizia telefonando a Roma ai dirigenti nazionali, ma quella Roma che dovrebbe essere garante della correttezza, non risponde al telefono e non risponde di nulla. Bene, anzi male, non resta che prendere nota e fare ricorso agli organi di garanzia, ovvero ai "probi viri" del partito; ma chi sono? Chi li ha eletti? Cercheremo di capirlo nel prossimo capitolo.

Gli onesti e i corretti si spendono con generosità, ma le falle sono troppe e da soli è impossibile tenerle d’occhio tutte.

I congressi dei partiti sono normalmente un colabrodo di prepotenze d'ogni tipo ... sono una delle miserie umane e più se ne raccontano e più se ne possono raccontare.

Del resto, noi italiani ne abbiamo concreta prova; dalla presidenza della cosiddetta Repubblica a quella del Consiglio dei ministri … all’incaricato dell’ultima biblioteca rionale, tutto ha genesi dai dirigenti politici eletti nei congressi dei partiti.

 

 

Ti racconto la politica 65

I probiviri

 

Gli statuti dei partiti contemplano i probiviri e il collegio da essi formato per risolvere le eventuali controversie interne al partito stesso.

L’etimo è latino; “probus” vuol dire onesto e integerrimo, mentre “vir” vuol dire uomo, dunque, secondo l’etimologia, i probiviri sono uomini onesti, membri di un collegio che dovrebbe essere l’organo di garanzia più irreprensibile del partito.

Tanto prestigio, rende spontanee alcune domande.

I probiviri sono eletti? Sono nominati? Da chi e con quale criterio vengono scelti?

Nei livelli territorialmente periferici, non sono sempre “esistenti”, ma nelle dimensioni regionali e nazionale, essi devono “materializzarsi” almeno in caso di necessità. Il problema è che spesso non si sa chi siano e altrettanto spesso, sono tirati fuori come dal cilindro del prestigiatore, proprio quando la controversia è arrivata a un punto tale da non lasciare più spazio alla possibilità di redimersi.

E’ difficile che un qualsiasi partito politico renda noti i nomi dei membri del collegio dei probiviri e del loro presidente, anche se tale atteggiamento può trovare una parziale giustificazione nell’oggettiva necessità di riservatezza.

In ogni modo, non si tratta di dirigenti eletti dal congresso ma di uomini esterni, scelti per meriti e pregi non comuni, dunque, diversamente da certi omuncoli che assurgono ai vari livelli di dirigenza, può accadere che qualche proboviro sia effettivamente probo.  

Il “disobbediente” talvolta citato in queste pagine, ne ha avuto prova diretta e giacché qui si raccontano cose vere, è corretto menzionare che egli stesso subì il tentativo di calunnia sulla stampa e la minaccia di denuncia alla magistratura, proprio come descritto nel capitolo 59. È doveroso precisare che in quell’occasione, l’integerrimo presidente nazionale del collegio dei probiviri, notata l’angheria perpetrata da certi dirigenti del partito, mise in guardia dalle gravi conseguenze insite in quella deplorevole azione; il partito si fermò. (ndr - non ci sono stati processi, ma memorie e giornali sono a disposizione).

Ritornando alla nostra diretta, vedremo che il congresso sarà convalidato nonostante i mille episodi di prepotenza. Le due signore si rivolgeranno ai probiviri; è una questione interna ma i tempi saranno snervanti come quelli della giustizia dei tribunali. Inoltre, dov'è la prova che le due signore ricorrenti ai probiviri, fossero scrutatrici? Il tavolino? No, come sappiamo, quel tavolino ufficialmente non esiste? Anzi, la “frittata” si può perfino rigirare e magari arriva un altro ricorso nel quale si accusano le due signore di chissà quale falsa dichiarazione. In quest’ultimo caso, si potrebbe invece essere convocati immediatamente e dopo una serie di scontate e pompose citazioni sulla storica etica del partito, si sentiranno parole come: "Conveniamo di chiudere bonariamente la questione; si tratta di momenti concitati che non meritano ulteriori considerazioni”.

Non ti adegui, non accetti? Allora la denuncia di tesseramento falso arriverà nel tribunale vero … il fine è piegare chiunque pensi di uscire dal “tracciato”.

 

 

Ti racconto la politica 66

Il quorum

 

La politica è un po’ come la ricerca scientifica; “inventa” e scopre cose che può successivamente adoperare tanto a favore quanto contro la società o la stessa umanità.

Quella del quorum è una prassi abbastanza tecnica e diffusamente usata; sarà necessario dedicargli almeno un paio di capitoli.

A dire il vero, la politica italiana si dimostra da qualche tempo incline a inventare non pochi cavilli e sofismi che opprimono i cittadini e rappresentano una sorta di generale offesa e negazione della stessa democrazia.

Cos'è il "quorum"?

Dal latino, la traduzione è "dei quali". Insomma, se nella tale circostanza gli aventi diritto al voto sono un tot, il quorum fissa, per esempio, che il voto sarà valido se voterà almeno il 51 per cento “dei quali”, ovvero del citato tot.

Dalle elezioni referendarie, alle votazioni relative ad istituzioni ed enti, ai congressi di partito … fino alle assemblee condominiali e quant’altro, il quorum è un meccanismo presente in molte occasioni e campi di attività. Capita purtroppo che nell’ambito istituzionale, esso sia gestito con fini, abitudini e mentalità tipiche dell’odierna politica.

A suo tempo, quando il quorum divenne norma e argomento statutario, rappresentò l’intrinseco concetto di legare strettamente l’approvazione di questa o quella proposta, alla quantità dei consensi che la stessa avrebbe ricevuto. Il fine era infatti di evitare che un'esigua minoranza di elettori potesse prendere decisioni al posto della collettività.

Il quorum si riferisce a tutti quelli che hanno votato in una specifica circostanza, indipendentemente dalla scelta di voto che hanno fatto.

È così ancora oggi ma, nei decenni, la politica ha inventato una serie di distinguo per creare dei presupposti “tecnici” tali da permetterle di barcamenarsi tra le stesse percentuali dei vari quorum.

Un quorum fissato nel 51 per cento, rende in un certo senso omaggio a quella che in democrazia viene chiamata maggioranza; la politica tuttavia, nelle occasioni in cui vuole accrescere la possibilità di validazione, riesce in qualche modo a “scegliere” i quorum.

Nelle le elezioni pubbliche, assistiamo da decenni alla partecipazione popolare che tende ad essere sempre più esigua; certo, si tratta di elezioni in cui non necessita alcun quorum, ma è innegabile che la politica vigente tenda a creare disinteresse per il voto perché “controllare” masse numericamente inferiori di votanti, è più facile.

Il costosissimo voto di scambio (capitolo n. 28), per esempio, dimostra che i politici vigenti non desiderano accrescere l’interesse del cittadino alla partecipazione; come già affermato, minore è la partecipazione e maggiore è la possibilità di controllare chi partecipa.

I referendum abrogativi vogliono un quorum del 51 per cento, ma nel caso che si tratti di modifiche di leggi costituzionali, allora sono detti confermativi e la relativa prassi di validazione non prevede alcun quorum.

Nei congressi di partito, col quorum si fa di tutto; ne parleremo nel prossimo capitolo.

 

 

Ti racconto la politica 67

Ancora sul quorum

 

Come abbiamo visto nel capitolo precedente e non solo in quello, la politica mira spudoratamente ad essere suffragata da una partecipazione popolare sempre più esigua. Calata in una sorta di gioco di prestigio in contrasto col concetto di democrazia, essa “costruisce” il suffragio di una minoranza popolare che poi trasforma in maggioranza politica.

Si tratta di concetti che negano l’etica e difficili da assimilare, ma basti pensare al cosiddetto premio di maggioranza relativa, per capire ancora una volta come la politica riesca a fare diventare cinque, la somma di due più due.

Negli ultimi decenni, essa si è dotata di una specie di “collezione” di trucchi e inganni che hanno allontanato il popolo col fine di renderlo politicamente impotente; un popolo impreparato non crea preoccupazioni al potere politico.

Gli italiani chiassosi che credono di parlare chiaro, essere concreti, fare subito e condire tutto con l’esuberanza, sono ciò che la politica vigente vuole perché nulla possa scalfirla. 

La vita è complessa e chi pretende di risolverla solo con interpretazioni semplici e immediate, è candidato a non capirla; se giochi a poker, devi conoscere le regole del poker e se nel tuo tavolo c’è un baro, allora devi conoscere tanto le regole del gioco quanto i trucchi del baro … diversamente, potrai soltanto perdere.  

Il quorum è spesso usato per fini reconditi ed è curioso e importante prendere anche atto di come sia possibile manipolarlo nel caso dei congressi di partito; argomento che qui accenniamo, ma che approfondiremo nel prossimo capitolo.

La circostanza e prassi congressuale, infatti, è resa valida dalla percentuale di presenze in ordine agli iscritti del partito celebrante; viene da sé che, secondo i casi, il quorum è uno strumento che si adopera per rispettare la democrazia oppure per “aggirarla” facendo finta di rispettarla.

Fissati, per esempio, in seimila gli iscritti o meglio le tessere (capitolo n. 6) del partito che celebra il congresso, nonostante i pacchettari (capitoli n. 18 e n. 20) si diano un gran daffare, vedremo presenti poche centinaia di persone; per questo motivo, poniamo alle ore dieci e trenta, scatta il meccanismo della cosiddetta seconda convocazione.

Lo statuto parla di un quorum del 51% ma, in deroga, la seconda convocazione rende libera la percentuale di convalida; così, la stampa scriverà di un congresso regolarmente partecipato e ciascuno, come sempre, penserà quello che gli pare.

La politica, lo ripetiamo perché è evidente, davvero evidente, non punta a creare interesse nella partecipazione dei cittadini, come vorrebbe la democrazia; vuole invece gestire, in ogni circostanza, gli elettori di che mira ad “assottigliare” sempre di più.

Ad una certa ora, in ogni modo, il congresso prende avvio, ma pochi, davvero pochi sanno quanti siano i reali partecipanti; le autorità pertinenti dichiarano che il quorum è stato ufficialmente raggiunto e dunque la farsa ha inizio.

 

 

Ti racconto la politica 68

(Cronaca di un congresso) parte L

 

Comunale, provinciale, regionale o nazionale che sia, il tipo di congresso è ovviamente legato all’area territoriale a cui si riferisce. il più delle volte, relativamente alle dimensioni minori, i congressi di partito sono pianificati perché durino una giornata, in tal caso, iniziano di solito la domenica mattina. Invece, se si prevede o è necessario che durino di più, allora si anticipa il loro inizio alla giornata di sabato, se non di venerdì.

Noi stiamo seguendo la cronaca di un congresso di un partito che conta circa seimila tessere, relativo a una vasta area provinciale e il cui inizio è fissato nella mattinata di una domenica.

Le nostre telecamere sono di nuovo accese, l’orologio segna le dieci ed è già arrivata un po’ di gente.

Si tratta di giornalisti, autorità, amici, curiosi, iscritti … e una buona quantità di “figuranti” che, in questi anni in particolare, sono rappresentati da extracomunitari, badanti e tanti ma tanti individui “arruolati” dal cosiddetto voto di scambio.

In base ai seimila iscritti di cui nel nostro esempio, occorrerebbe un quorum di tremila presenti più uno, ma noi sappiamo che circa metà degli iscritti sono falsi (capitoli 5 e 6), dunque, anche se arrivasse la partecipazione del settanta o dell’ottanta per cento delle tremila tessere o iscrizioni vere, avremmo un po’ più di duemila presenze e meno di duemilacinquecento; ciò, già lontano dalla normale realtà, è abissalmente lontano dalle esigenze ufficiali del quorum che, ricordiamo, può sempre “utilizzare” la clausola della seconda convocazione richiamata anche nel precedente capitolo.

Curiosi, passanti, uditori e quant’altro, possono entrare liberamente nei locali del congresso. Il banco della verifica poteri, citato in più capitoli del presente corso, non chiede infatti i documenti d’identità a quanti entrano e raggiungono i locali in cui si svolge il congresso, ma verifica solo l’identità di quanti dichiarano d’avere specifici ruoli da compiere. In buona sostanza, chi ha il compito di fare lo scrutatore o il presidente di seggio o il rappresentante di lista o di essere relatore o di fare parte del servizio d’ordine o quello che è, allora si reca al banco della verifica poteri e trova i verbali che ne attestano il ruolo.

Gli altri, tutti gli altri, dai giornalisti, ai curiosi, agli “assoldati” anche solo con un’attenzione, un pranzo o una semplice pizza, alle ormai immancabili badanti e prestatrici d’opera del genere, tutti gli altri possono entrare nella sala del dibattito e confondersi tranquillamente come parte del quorum; seduto o in piedi, chi vuole presenziare è libero di farlo.

Ora, nel tavolo dei relatori, un “autorevole” portavoce prende la parola e propone agli astanti i nomi degli iscritti a cui attribuire i ruoli di presidente, segretario e verbalizzante dell'assemblea.

Le mani si alzano e il gioco è fatto; in serata avremo tutti i “ridirigenti” di partito eletti.

 

 

Ti racconto la politica 69

Una dittatura col lifting di democrazia

 

La festa per antonomasia è un Popolo che si libera da despoti e parassiti, riuscendo ad ottenere la repubblica, la democrazia e le votazioni; è però ovvio che a supporto di una tale entusiasmante stagione sociale, debba esserci un popolo equilibrato e scevro da emotive e perfino presuntuose fissazioni. Diversamente, la repubblica, la democrazia e il voto si chiameranno ancora così ma, come in sorta di chirurgia plastica, sapranno rendere “estetici” i trucchi, gli inganni e la depravazione con cui opprimeranno e sfrutteranno quel popolo impreparato e un po’ ingenuo che si affiderà alla confusione dell’ignoranza, mentre sarà incapace di difendersi.

Alla vigilia del capitolo numero settanta, dovrebbe essere ormai facile capire che, con la miriade di argomenti affrontati e descritti, questo corso punta a trasferire conoscenza politica a quel popolo che, nonostante i reiterati insuccessi,  persevera nella fissazione e negli stessi errori.

Tutto muta e mentre la realtà cede il passo alla rappresentazione di sé stessa, può anche accadere che la repubblica, la democrazia e il voto diventino un vile inganno dell’estetica che maschera la sostanza.

Da qualche decennio, assistiamo in Italia alla grande truffa di una democrazia che, mantenendo il nome di democrazia, si modifica in una perversa e moderna forma di dittatura.

Cosa succede alla nostra Repubblica e al voto?

Aristotele, già qualche tempo prima di Cristo, parlò di tirannia; oggi, la nostra subdola politica  tende a dare alla tirannia il nome di democrazia. 

Già le prime pagine della storia, trattano dell’uomo che vuole sopraffare l’uomo e da lì, transitando per le riflessioni aristoteliche sulla tirannia, si è arrivati alle offese dello stalinismo, del nazismo e di altri mille dispotismi, fino ad assistere oggi a una democrazia che pretende di chiamarsi democrazia senza esserlo.

Capita che un Popolo scenda in piazza e si armi contro la dittatura, ma le cose si fanno molto più complesse, se si tratta di una falsa dittatura che si fa chiamare democrazia; per raggirare un popolo politicamente impreparato che s'illude della forma e non vede la sostanza, si fa scivolare la prepotenza istituzionale sotto il nome di democrazia e il gioco è fatto.

Popolo (démos) e potere (cràtos), sono l’etimologia di “governo del popolo”; lo sanno tutti.

Dall’antico episodio del popolo che ha preferito Barabba a Gesù Cristo, fino a certe odierne idiozie che si raccontano e deliberano nelle assemblee condominiali, non esiste certezza sulle capacità decisionali del cosiddetto popolo massa, dunque, bisognerebbe essere certi di almeno un paio di cose.

Non può esistere evoluzione nella mancanza di conoscenza; ecco perché il nostro potere politico vigente influenza il popolo con gli appariscenti temi di cui vuole che parli, mentre tende a nascondergli ogni verità.

Infine, in un sistema democratico vero, è il popolo che deve capire come non dare potere agli impostori e meritare d’essere sovrano.

 

 

Ti racconto la politica 70

Sapere, riflettere e poi agire!

 

Circa la realtà politica, il nostro popolo è combinato male e molti, prima di cercare altrove la colpa di certa inefficacia, dovrebbero cercarla in se stessi.

Giunto al capitolo 70, questo corso si augura di invogliare a riflettere sulla banalità dei troppi atteggiamenti che hanno portato alla totale inconcludenza della rivalsa politica popolare italiana.

È incosciente e vanitoso chi pensa di proporsi senza avere cognizione dei meccanismi perversi e truffaldini, descritti anche in questi capitoli, che la nostra subdola democrazia usa per rendere inconsistenti le odierne manifestazioni di malcontento popolare.

Ciascuno dovrebbe farsi autonomo carico di una così pesante responsabilità e capire che la suggestione e la superficialità non possono portare alla ragione.

Siamo invasi dai “progettisti” delle cose inutili ed è ormai tempo che il popolo di buon senso si riunisca intorno a iniziative dettate dalla conoscenza e non della cecità della suggestione e della fissazione.   

In democrazia, si deve percorrere il sacrificio della conoscenza, poi giudicare e dunque scegliere; ciò è gravoso ma indispensabile. Quelli il cui sapere è dettato dalla prigionia culturale delle frasi fatte, quelli che “io non giudico”, quelli che “adesso basta”, quelli che “in concreto e subito” e cose del genere, sono espressione di una società ingenua e anche presuntuosa.

Non saremo credibili né efficaci, se non daremo una diversa fisionomia alle nostre azioni di rivalsa politica popolare.

Siamo così fissati e narcisisti che pretendiamo perfino di rendere soggettivo il significato delle parole (capitolo n. 16).

Jacques Maritain, per esempio, come a chiedere di capire la distinzione tra cristianesimo e cristianità; affermava che l’uno è un messaggio che non può essere identificato con nessun popolo, mentre l’altra è il prodotto di una cultura che un popolo può fare propria.

Cedendo troppo spazio alla comoda emotività, noi abbiamo assunto le nostre fissazioni personali come verità assolute. Continuando così, ammesso di non esserne integrati, saremo osservatori passivi dell’emergenza educativa e dell’incosciente distacco dalla cultura, che stanno gettando i tentacoli sulla nostra società.   

In tema di presunte novità politiche popolari, è opportuno non lodare i portatori di atteggiamenti adulativi o grottescamente rivoluzionari, né confondere gli aspetti della libera analisi con quelli della critica preconcetta.

Liberi dalla tentazione delle comode suggestioni, individueremo più facilmente le strategie popolari atte a conseguire obiettivi utili. Chi si pone quale leader popolare usando l’inganno di certe illusioni o avendo un recondito e servile tornaconto, accresce l’indice d’impotenza politica della collettività.

Trasmettere competenza e rispetto, porta a ricevere fiducia; ciò conferisce successo e longevità all’aggregazione politica popolare. I convinti “illuminati”, i vanitosi e i presuntuosi amputano e uccidono la possibilità popolare di fare squadra. Molti cittadini di buona volontà, un po’ come se fossero inseriti nella fila dei mattoncini del gioco del domino, sono esposti a cadere senza colpa, a causa dell’impreparazione di quanti cadono pur sentendosi imbattibili

 

 

Ti racconto la politica 71

Capire la libertà

 

Nel capitolo n. 62, abbiamo messo a confronto il termine di democrazia con quello di cheirocrazia che, avendo il significato di “governo dei peggiori”, si addice meglio ai nostri odierni protagonisti della politica istituzionale.

All’epoca, un po’ inebriati dal suo meraviglioso sopraggiungere, abbiamo immaginato la libertà come un gratuito toccasana della nostra vita. Purtroppo, dalla libertà di parola e di pensiero, transitando fino alla sostituzione del concetto di libertà con quello di libero arbitrio, noi non abbiamo capito che avremmo dovuto dedicare al grande sopraggiungere della libertà, l’umile coinvolgimento della nostra intelligenza per capire.

Le molecole sono fatte da atomi, semplice, ma la semplicità viene dopo che si è capita la complessità.

La politica non affida nulla al caso e salvo il fatalmente imponderabile, essa pianifica e determina gli eventi a cui il popolo, nel bene o nel male, deve sottostare.

La partita tra la politica di potere e il popolo, si gioca proprio sul fatto che la politica calcola freddamente tutto, mentre il popolo confonde l’emotività con la strategia.

Oltre a descrivere termini e trucchi poco conosciuti della politica, questo corso cerca di dedicare qualche capitolo anche alla riflessione, ovvero all’esercizio della ragione che, in gergo popolare, è detto “uso della testa”.

Nel capitolo n. 16, in tema di realtà e linguaggio, abbiamo parlato del significato e della differenza scientifica tra enunciato, débrayage ed enunciazione.

Per quanto possa parlare in modo spedito, l’essere umano non può pronunciare più parole simultaneamente; anche la mente può riflettere in maniera oculata, opportuna e profonda, può senz’altro abbracciare gli annessi e connessi di un ragionamento, ma non può meditare simultaneamente, cioè nello stesso identico istante, su temi del tutto diversi e scollegati tra loro.

Il concetto è chiaro; almeno fino a questo ventunesimo secolo, l’essere umano non ha dato prova di poter parlare e pensare in modo, diciamo, “stereofonico”. Insomma, per distrarre da un pensiero, basta avvicendarne un altro; ecco il “training” del plagio. Non si desidera che concentri troppo il tuo pensiero su una determinata cosa, dunque, si sollecita la tua emotività per farti pensare ad altro; ne è esempio, sia pure traslando il ragionamento sul campo commerciale, la perversità con cui si propone la pubblicità nel web.

Più un popolo è suggestionabile e più la prepotente politica istituzionale può influenzarlo. La nostra falsa democrazia ricorre spesso all’emotività per spingere il popolo nella direzione voluta.

Ciò è immorale, ma la superficialità non può battere il freddo calcolo.

L'intelligenza dimora sia negli uomini cattivi sia nei buoni; entrambi possono competere, ma l’idiozia non può battere gli uni né gli altri.

La moderna concezione di libertà, deve mirare a una cultura popolare responsabile che opponga l’intelligenza degli uomini corretti a quella dei parassiti criminali; la libertà non può essere intesa come facile accesso alla politica, di narcisisti e incapaci.

 

 

Ti racconto la politica 72

Immorali gli uni, inefficaci gli altri

 

Nell’accezione dell’esercizio del potere, la politica si presta per sua natura all’immoralità; essa pone immanente il conflitto tra vantaggi personali e generali e ha facoltà di corruzione sugli uomini. Attrae sia chi vive da parassita disconoscendo ogni scrupolo morale sia i boriosi che trovano in essa gli strumenti per opprimere il lavoro degli umili. La politica intesa come mero esercizio del potere, aizza la propensione all’invadenza di quanti hanno ruolo nelle istituzioni che amministrano la vita sociale.

Sono premesse gravi e sostenute dallo squallore di politici che tentano di farle apparire come eque ma, sia pure tra gli innumerevoli tentativi di dare apparente eleganza a certa sostanza depravata, nessuno può negare che, almeno in Italia, la politica stia vivendo una delle sue stagioni più indegne.

La nostra politica istituzionale non ha più la stima del popolo e si è ridotta a pretendere d’esistere, senza avere alcuna dignità per esistere; essa, nonostante il generale disprezzo popolare, resta incollata come una viscida sanguisuga all’usurpazione del potere.

Il nostro ordinamento vigente vive di truffe, prepotenze e veleni; purtroppo, a tale ignominia, si aggiunge l’illusione popolare di combatterlo con azioni di rivalsa dispersive, inefficaci e vanagloriose.

Certo, anche per il popolo vale il detto “errare umanum est” ma, dopo decenni d’insuccessi d’ogni tipo, si potrebbe finalmente evitare di reiterare ostinatamente gli stessi ingenui errori nel tempo; errori divenuti ormai una sorta di patologia che rende il popolo impotente circa la possibilità di  ovviare ai soprusi istituzionali subiti.

Sedicenti leader popolari, ripetono fino alla noia i punti dei loro “originali” programmi; affollano con le loro “illuminazioni” sull’ambiente, sul lavoro, sulla sanità, sull’economia, sul fisco, sul bene comune e su mille temi dei quali si ergono illuminati competenti. Dimenticano sempre, però, un paio di cose; non sanno mai suggerire metodi idonei ad ottenere il potere politico necessario per intervenire sui problemi di cui parlano e non sanno concepire la fiducia da parte di amici e convenuti, quale primo elemento di coesione per ogni intesa. A nessun leader è dato d’essere grande, se non sa trasmettere quel senso di rispetto su cui si genera la fiducia popolare.

Di là della posizione gongolante dei benpensanti, un assetto politico popolare nuovo non otterrà ragione se non sarà inconfutabilmente rispettoso della dignità umana; presunzione ed emotività non possono conferire alcun successo stabile.

La democrazia comporta d’essere intrinsecamente capita e un popolo che vive di superficialità e fissazioni, non può essere in grado di eleggerla a ordinamento della cosa pubblica.

Fissazione e suggestione inducono a teorizzare e perfino pensare di votare progetti totalmente inutili e insostenibili; se anche tutta l’Italia “esaltata” votasse unanime per l’asino che vola, l’asino non potrebbe volare lo stesso.

Nuovi gruppi, movimenti, partiti e quant’altro dovranno conferire al fenomeno dell’aggregazione popolare, le doti di umanità, sobrietà e avvedutezza che sono state smarrite.

 

 

Ti racconto la politica 73

(Cronaca di un congresso) parte M

 

Il presidente e il segretario dell’assise sono stati eletti per alzata di mano, il verbalizzante è stato nominato e il congresso è entrato nel pieno delle funzioni.

Come sappiamo, il tavolino del preordino dei congressi (capitoli n.18 e n. 23), ovvero l’impeccabile “regia”, pensa a tutto, dunque, sceglie “convenientemente” anche la sala.

Potendo infatti prevedere con buona approssimazione il numero dei partecipanti, opta per una sala assembleare che non avrà posti a sedere per tutti. Insomma, tanto per essere chiari, sceglie una sala con un centinaio di posti a sedere, se ha previsto una partecipazione un po’ superiore a cento persone. Ne sceglie invece una con duecento posti a sedere, se ha previsto una partecipazione di qualche decina di persone oltre le duecento; così come ne predispone una con cinquecento posti a sedere, se ha previsto un centinaio di partecipanti in più di cinquecento … e così via.

Con questo "trucco", si parlerà di una sala gremita di persone. I giornalisti scriveranno di una tale partecipazione che non tutti hanno trovato posto a sedere e la gente che leggerà, scambierà ancora una volta la realtà, con certi aspetti della realtà rappresentata (capitolo n. 16).

In fondo, dal palco rialzato dove hanno preso posto i “padroni” del partito, gli interventi sono iniziati. Il relatore di turno si sposta nell’apposito podio a fianco del tavolo e da lì, inizia ad esternare le sue “profonde” meditazioni.

Abbiamo già visto (capitolo n.55) che nell’area del congresso, c’è una saletta dedicata alla stampa e anche un altro tavolo, proprio nella sala del congresso, riservato ai giornalisti che vogliono seguire il dibattito dal vivo. Generalmente sotto il palco, in uno dei due estremi, c'è un tavolo riservato alla segreteria del congresso.

Vicinissimo all’ingresso, come sappiamo, c’è il banco della verifica poteri e una sorta di reception; dunque ci sono i seggi con le relative urne e cabine, una serie di salette per appartarsi in gruppi ristretti, l’immancabile bar interno … e altri "miniuffici" pronti a creare ogni "intoppo" burocratico se, pur partecipando con tanto di diritto, arriva la presenza di qualche “disobbediente” che non intende adeguarsi alle mafiose regole della farsa.

Nessuno s’illuda;  nei congressi dei partiti non esiste la democrazia e non si esita a bloccare con ogni mezzo e senza scrupoli, chiunque non “obbedisca”.

Per reiterarsi nel tempo, le dittature devono farsi chiamare democrazie e per farsi chiamare democrazie, devono mantenere vigente l’istituto del voto.

Abbiamo descritto come si adopera il voto di scambio per controllare le elezioni pubbliche, ora stiamo descrivendo come si manovrano i voti dei congressi.

Prossimamente, parleremo di partiti che, in nome della modernità informatica, “celebrano” i congressi senza celebrarli e parleremo anche di partiti che rendono obbligatoria una sorta di qualifica aggiuntiva, perché la sola tessera non basti a dare diritto di voto congressuale.

 

 

Ti racconto la politica 74

I cani di Pavlov

 

Fatti a immagine e somiglianza di Dio, un giorno diventeremo onnipotenti ma, oggi, l’organizzazione della vita sociale non può prescindere dalla politica e se ad essa accedono parassiti piuttosto che persone degne,  è questione altra.

Nei settantatre capitoli che precedono, abbiamo avuto nozione di molti meccanismi che la politica italiana, nella sua fisionomia vigente, adopera per controllare e “spremere” ogni cosa.

La prima officina dell’intelligenza è la conoscenza; senza, non esiste capacità di pensiero. Sarebbe bene non sentirsi mai presuntuosamente furbi e considerare che la possibilità d’essere condizionati, sia sempre in agguato.

Ricordate il sovietico Ivan Petrovic Pavlov e i suoi famosi cani? Nel 1904, le ricerche svolte sui riflessi condizionati, gli valsero il premio Nobel per la medicina.

Pavlov studiò a lungo il rapporto tra stimolo e reazione e dimostrò che stimoli precisi suscitano reazioni costanti e che stimoli incerti possono condurre perfino alla follia; in ordine a quest’ultimo caso, è famosa  un’esperienza che condusse.

Pavlov abituò dei cani a mangiare il cibo su piatti di forma quadrata e a rifiutarlo, pena delle punizioni, se posto su piatti rotondi.

I cani impararono velocemente a cogliere la differenza tra le due forme, dunque, presero a mangiare “spensieratamente” dai piatti quadrati, mentre rifiutarono il cibo posto sui piatti rotondi; Pavlov, dunque, passò ai piatti esagonali, ottagonali e così via.

All’aumentare del numero dei lati, i cani mostravano esitazione, ma erano puniti solo se assumevano cibo dai piatti perfettamente rotondi.

I poveri animali sembravano davvero bravi a riconoscere il cerchio, ma Pavlov continuò col decagono, col dodecagono e via di questo passo. Cogliere la differenza dal cerchio, era sempre più angosciante e quando la poligonale ebbe un tale numero di lati da essere confusa col cerchio stesso, alcuni cani non riuscirono più a mangiare, mentre altri impazzirono.

Oggi, credendoci liberi, siamo portati a pensare che certe cose non possano accaderci ma la nostra politica istituzionale, col suo modo “particolare” di coniugare lo sviluppo sociale, conduce esperimenti simili a quelli di Pavlov, con l’accortezza - se così si può dire - di sostituire i cani con gli esseri umani.

Tutto annuncia di muoversi all’insegna dell’encomiabile voglia di correttezza sociale; le perplessità non riguardano certo detta voglia, bensì la credibilità di quanti se ne promuovono attori.

Alla base di tale incongruenza, sta il fatto che i luoghi deputati al potere politico, sono frequentati da troppi individui iniqui e parassiti … 

La gente soffre e si suicida come non ha mai fatto e ciò  accade perché, con la scusa di “proteggerlo”, le istituzioni tolgono all’uomo dignità e libertà.

Abbiamo talvolta parlato di come certa politica usi l’immorale “vocabolario dell’ipocrisia”, ovvero quel linguaggio che inibisce l’intelligenza con la suggestione … come ad usare dei “piatti ambigui tra il rotondo e il quadro”, per sostituire la comoda fissazione al sacrificio di capire.

 

 

Ti racconto la politica 75

Le primarie

 

Ogni innovazione che punti a una più alta realtà democratica, promuovendo la partecipazione politica del popolo, è vanto per qualsiasi società civile.

Accade però che anche gli appelli alla partecipazione popolare, possano essere ingannevoli e di tale vergogna, gli italiani sanno qualcosa.

Da noi, la prima a indire le primarie a livello nazionale, è stata l’Unione  (Centrosinistra), il 16 ottobre 2005, in vista delle politiche del 10 aprile 2006). Importate solo da poco più di un decennio, il nostro Paese ha già saputo rivestirle d’immoralità e brogli; ciò, cronache alla mano, piaccia o no, è da imputare al Centrosinistra che dal segretario del partito, al premier, al sindaco, ha preso a utilizzarle per “eleggere” quasi ogni carica.

Del resto, il nostro è il Paese del voto di scambio (capitolo n.28), come dei mille veleni che controllano il voto congressuale, riportati e descritti nei vari capitoli a titolo “Cronaca di un congresso”.

Cosa sono le elezioni primarie o primitive?

Non le abbiamo inventate noi italiani ma, come spesso sappiamo fare in politica, le abbiamo copiate e “perfezionate” fino a renderle un vergognoso esercizio della democrazia.

Sono nate negli USA, quali consultazioni popolari locali, nel settembre del 1847 quando, in Pennsylvania, il Partito Democratico decise di consultare il popolo per avere indicazioni sul leader da scegliere; dopo la guerra civile (1861-1865), si diffusero negli Stati del Sud per poi divenire costume in tutti gli USA.

Il fine, come sopra accennato, è ricevere indicazioni popolari sulla scelta della leadership di un partito o di uno schieramento politico.

Le primarie sono nate come “chiuse”, ovvero accessibili ai soli tesserati del partito organizzatore e si sono poi diffuse come “aperte” a tutti i cittadini ma, in questo modo, è accresciuto il rischio d’inquinamento politico. Nel tentativo d’impedire che appartenenti ad altri partiti si rechino alle primarie per cercare di “orientare” il voto in casa altrui, si sono affermate le primarie “intermedie”, ovvero aperte anche ai cittadini non direttamente associati alla coalizione o al partito promotore, ma potenziali sostenitori dei relativi candidati. In questo caso, per poter votare, ci si deve "iscrivere", anche come semplici indipendenti, in un apposito registro presso il partito o la coalizione che promuove le primarie. Insomma, la questione è vaga ma, mentre negli USA sembra esistere un po’ di coerenza etica, in Italia s’inventa ogni “destrezza” per trasformare anche le primarie nella solita truffa giocata nel nome della democrazia.

Per quanto la Toscana e la Calabria abbiano provveduto a dotarle di regolamentazione regionale, è da dire che, diversamente dagli USA, l’Italia non le ha regolamentate con nessuna legge, dunque, non hanno valore legale, inoltre, nel rispetto della nostrana arte di “entrare rinculando facendo finta di uscire”, esse offrono spazio a inique forme di adescamento e falsificazione.

Il tema delle primarie comporta ulteriori considerazioni, dunque, lo riprenderemo.

 

 

Ti racconto la politica (cap. 76)

Ancora sulle primarie

 

Abbiamo già avuto modo di dire che la politica è come la scienza; la modernità, infatti, porta entrambe a esperienze e assetti nuovi che però non sempre sono interpretati e usati per i fini più degni.

Anche le elezioni primarie sono per noi una sorta di modernità che può essere usata ambiguamente, pertanto, come affermato in chiusura del precedente (capitolo n. 75), eccoci di nuovo a intrattenerci su esse.

Un popolo assennato dovrebbe affrancarsi dall’emotività, specialmente ideologica e accedere a quell’equilibrio razionale che permette di riconoscere, senza suggestioni, chi usa e inganna i cittadini; in ordine al tema delle primarie italiane, è lampante e comprovata  la parte politica che ha preso “sinistramente” a manipolarle.

Dalle elezioni, alle liste dei candidati, ai congressi, alle organizzazioni di partito e quant’altro, parlare dei temi e dei meccanismi che sono alla base della concezione democratica del potere istituzionale e politico, nonché del rispetto del popolo, dovrebbe essere una cosa gratificante e nobile, eppure, così come in questi capitoli abbiamo avuto modo di raccontare, si tratta di meccanismi che il nostro Paese è riuscito a rendere indegni e tutt’altro che osservanti la democrazia.

In Italia si è ormai assestata una classe dirigente politica abietta che si avvinghia e perpetua con bramosia sulla propria situazione privilegiata, viziata e immeritata. Posta come prioritaria su ogni altra questione, è ovvio che tale immonda ingordigia stupri qualsiasi principio di democrazia e lo deturpi fino ad annullare ogni rispetto e considerazione nei confronti del popolo che, pertanto, viene ingannato e piegato sotto il peso delle sevizie di un così infausto potere istituzionale.

Le primarie, data la configurazione un po’ vaga che hanno per loro natura, permettono di intervenire facilmente per manipolare i dati.

Del resto, la storia italiana della recente importazione e adozione delle primarie, ha reso nota la loro inconfutabile predisposizione alla “pestilenza” accennata.

Non v’è dubbio che il concetto di elezioni primarie “avvolga” in una sorta di soavità democratica, tuttavia viene da sé che l’inesistente obbligo di iscriversi al partito che le promuove, permette di chiamare a raccolta tanto chi è mosso da sincera condivisione e appartenenza al gruppo, quanto chi è mosso da spirito di concorrenza se non brama di corruzione.

In quel tipo di elezioni si è visto di tutto; dall’arrivo di pullman di badanti di varie nazionalità, a “mini-assoldati” d’ogni tipo, a individui che non perdono mai occasione per definirsi apolitici, a quant’altro, le primarie sono spesso state trasformate in una sorta di pellegrinaggio dell’ipocrisia.

Sia chiaro, molto chiaro, che in questo corso di politica non si biasima minimamente la democrazia né  alcuna sua struttura che rispetti la libertà e la dignità del popolo; però, si rimprovera con forza, severità e determinazione ogni politico o cerchia vigente di politici che trasformano la democrazia nella facciata elegante dei più criminali inganni. 

 

 

Ti racconto la politica 77

… ma cos’è la cultura?

 

Sono sempre logiche le cose che appaiono logiche?

Ciò che sembra, può essere diverso da ciò che è; ecco una circostanza che permette molti raggiri.

Meglio capire! Qui entra però in ballo la conoscenza, ovvero la cultura.

L’intelligenza insegna che è difficile avere un’idea di ciò che non si sa e non si studia; la presunzione di sapere, invece, avvicina all’idiozia. 

Questa rubrica, già da tempo, cerca di dare qualche onesta informazione sulla politica.

La cultura è una sorta di magazzino delle nozioni ed esperienze che determinano la nostra possibilità di capire.

Nel concetto di cultura è intrinseco il senso di movimento. L’etimologia è latina e deriva da “cultus”, participio passato di “colere”, cioè coltivare. In una sorta d’equilibrio tra dedizione e capacità d’attesa, la cultura è tutto fuorché fissazione o immobilismo intellettuale. Una mente che si fissa su posizioni statiche, è come un muscolo che non si muove.

La mente è il primo elemento di difesa e riempirla di suggestioni, rende deboli e vulnerabili.

E’ indubbio che vi siano dei riferimenti culturali generati dall’ambiente, ma è altrettanto ovvio che ogni individuo fissi poi dei livelli personali di cultura.

Studio, analisi, curiosità o passione che sia, la conoscenza è esperienza e l’esperienza è l’unica possibilità che gli esseri umani hanno per trasformare il loro cervello in mente, dunque, la cultura forma e trasforma.

La cultura è il più utile dei normali sacrifici; essa spinge ogni cervello a diventare mente, ma colui che pensa che ciò sia un fatto dovuto o che possa avvenire come per grazia ricevuta, finisce col diventare il maggiore ingannatore di se stesso.

Chi presume di sapere, non fa nulla per essere qualcosa in più di ciò che è,  inoltre, ama reputarsi preparato, intelligente e forte; una lingua connessa ad un cervello che non sa essere mente, è una lingua che dice un sacco di sciocchezze.

Avvicinarsi alla cultura, è vitale.

Immaginate di essere in un laboratorio con gli arnesi del vostro mestiere, cioè la pinza, il cacciavite, il martello, il saldatore, il trapano, il tester e così via, dunque, giacché siete lì, immaginate che arrivi qualcuno con qualcosa da riparare. Come vi comportate? Provvedete alla riparazione con le sole dita o usate gli attrezzi che avete a disposizione?

Ecco, la cultura è un laboratorio pieno di attrezzi e se da una parte è difficile trovare chi pensa di ruotare avanti e indietro un dito per fare un buco in una barra d’acciaio, dall’altra è invece facile trovare chi pensa che l’emotività e la suggestione siano elementi di razionalità.

La cultura non ha larghezza, altezza o peso, eppure si “misura e si mette sulla bilancia”; c’è chi sa quanto sia importante, c’è chi lo sospetta e c’è chi non lo sa e non lo sospetta; senza, però, non si può pensare di pensare.

 

 

Ti racconto la politica 78

… chi sei?

 

Thomas Eliot, letterato, poeta e drammaturgo americano, affermava che l’ultima caratteristica a morire nell’uomo, sia il pensare bene di sé stesso.

Insomma, prima morirebbe l’uomo, poi, come ci hanno sempre detto, morirebbe la speranza e poi, ancora dopo, morirebbe la predilezione a pensare bene di noi stessi. 

Essendo doveroso rendere alla cultura l’onore che merita, nel precedente capitolo abbiamo affermato che essa sia il maggiore elemento di metamorfosi del cervello in mente. La cultura forma e trasforma continuamente ogni essere umano e ne rende l’esistenza e la personalità, strettamente dipendenti da ciò che sa.

Noi siamo ciò che sappiamo e rendendocene conto, potremmo non essere assoggettati alla vanagloriosa abitudine di considerare sempre gli altri quali responsabili e colpevoli delle cose negative che ci circondano.

Tu, chi sei?

A tutt’oggi, non è ancora dato a nessuno di sapere tutto, ma se tu fossi tra coloro che sanno molto, allora saresti una persona equilibrata e attendibile; al contrario, qualora appartenessi alla schiera di coloro che sanno poco o molto poco, allora varresti poco o molto poco; tuttavia, quest’ultimo caso non è il peggiore.

Infatti, se tu appartenessi alla schiera di coloro che sanno ciò che gli altri vogliono che sappiano, allora saresti ciò che gli altri vogliono che tu sia … ecco, questo è il caso peggiore.

Essere ciò che altri vogliono che siamo, non è un’eventualità rara, anzi più si è impulsivamente certi d’essere immuni dal plagio e più è probabile che se ne sia vittima.

Le parole che precedono possono sembrare un paradosso, ma il condizionamento esercitato sul popolo dal nostro depravato potere politico istituzionale, testimonia quanto sia in uso la cinica “arte” del plagio.

Il caso peggiore è, dunque, non rendersi conto di essere ciò che altri vogliono che siamo.

Come noto, questo corso si occupa di politica, dunque, rimanendo in tema, possiamo procedere con una specie di test.

Sei convinto che un popolo impreparato non possa essere elemento di preoccupazione per un potere politico oppressivo e parassita … diciamo come quello italiano?

Non credi, invece, che un simile potere istituzionale possa temere un popolo preparato che sappia trovare forza nella capacità di stare unito e di organizzarsi all’insegna della serietà e non dell’emotività?

Ti va di riflettere sull’azione di rivalsa politica popolare italiana degli ultimi decenni e di prendere atto che essa sia stata del tutto inefficace e inconcludente?

Sei certo di non aver contribuito a detta inefficacia e di non aver agevolato l’accennata inconcludenza?

Rispondi, anzi risponditi, ma è innegabile che il potere politico istituzionale ci tratti come allocchi e se può permettersi di reiterare un tale ignominioso atteggiamento, è perché gli allocchi e inconcludenti sono tra noi numerosi.

L’impulsività è caratteristica degli stupidi e sarebbe opportuno non prenderla come sintomo di forte personalità, né confonderla con l’intelligenza!

… dunque, chi sei?

 

 

Ti racconto la politica 79

Massa

 

La facilità di suggestione rende il popolo politicamente debole e perdente.

Anche se non manca chi lo ha fatto autonomamente, forse è bene sollecitare una generale revisione del concetto di massa. La fisica, tra altre cose, dice che la massa sia soggetta all’influenza di forze esterne;  anche in politica è così e il potere istituzionale italiano ha fatto di questa “influenzabilità”, un uso criminale.

Il concetto di massa attribuito alla dimensione popolare, è così inappropriato da essere offensivo.

La società, come affermato a suo tempo dai Funzionalisti (precursori della scienza sociologica), non può essere definita come massa; essa, infatti, non è un “ammasso” ma un insieme d’individui e non si può aspirare alla felicità sociale se non si tende a edificare la felicità del singolo.

Perfino la nuova e sorprendente fisica quantistica, dimostra che ogni azione influenza la globalità; la società sarà felice solo se a ogni singolo individuo sarà data l’opportunità di esserlo … questo è il compito della democrazia.

Intendere la società come una sorta di massa omogenea, è un reato culturale; non si può immaginare che gli individui capiscano tutti alla stessa maniera né che abbiano tutti le stesse esigenze.

La democrazia deve fornire libertà e opportunità tali da permettere che ogni individuo possa esprimersi al meglio delle proprie facoltà.

Certa parte politica, annunciando ipocritamente di salvaguardare le esigenze minime di dignità sociale, ha messo la lunga mano della coercizione e dell’invadenza su ogni forma di libertà dell’individuo; in questo modo, proclamando l’apparato di Stato come una sorta di mamma di tutti, lo ha di fatto reso il peggiore nemico del popolo.

Le moderne forme di oppressione politica, si fanno forti della permeabilità popolare a certa “seducente” comunicazione.

Il baratro, quel punto che si poteva evitare cambiando semplicemente direzione, ora ci lambisce; decenni di allucinate fissazioni, hanno disegnato il tragico futuro che si propone adesso come quotidiana realtà.

La fissazione ideologica porta a non percepire la menzogna di certe “autorevoli” dichiarazioni, inoltre, il popolo è troppo propenso a confidare nel mare di presuntuosi che si autocelebrano e si propongono quali leader di “scintillanti” progetti politici, caratterizzati da quella strana originalità che predica sempre le stesse cose.

I progetti attendibili, sono ben diversi dai soliti vanagloriosi tentativi di reclutamento “pro domo mea”.

Abbiamo ridicolizzato temi come l’ambiente, l’energia, il lavoro e altri, trasformandoli nella retorica di luoghi comuni che ora si riversano su noi come acido corrosivo. Non ne abbiamo indovinata una e gli stupidi slogan che abbiamo urlato, si svelano oggi in tutta loro astrattezza.

La nostra democrazia è prepotenza istituzionale da una parte e proliferazione di “palloni gonfiati” che si autocelebrano, dall’altra; occorre imparare a contrastare l’una e a non accreditare gli altri.

Il popolo deve ripudiare la suggestione e capire che le strategie politiche serie si realizzano un passo alla volta.

 

 

Ti racconto la politica 80

La partita è a scacchi, non gavettoni

 

Abbiamo fin qui utilizzato un’ottantina di capitoli per riportare e raccontare gerghi, terminologie, abitudini, veleni, giochi, giochetti e tecniche di vario tipo che reiterano, arroganti e incontrastate, le abitudini del “palazzo” del potere politico italiano vigente e delle varie “dependance” ad esso collegate.

Abbiamo sempre affermato con determinazione, che il sapere è cultura e che la cultura trasforma il nostro cervello in mente, così dando una precisa fisionomia alla nostra personalità e alla nostra vita; insomma, noi siamo ciò esattamente che sappiamo e da qui, non si scappa.

A quanto sopra, deve però essere aggiunto, come dall’affermazione di Thomas Eliot riportata nel (capitolo n. 78), che l’ultima caratteristica a morire nell’uomo è il pensare bene di se stesso, pertanto, di là della cultura, del sapere e della competenza, esiste inevitabilmente e comunque un oceano di indolenti che, mentre non hanno alcuna voglia di percorrere il giusto sacrificio della conoscenza, pretendono presuntuosamente e arrogantemente di sapere tutto e di dire la loro, in ogni caso e su tutto.

Bene, anzi male, che si abbia voglia di ammetterlo o no, l’oceano di saccenti presuntuosi di cui è cenno sopra, crea la debolezza, il tallone d’Achille e la iattura di ogni società.

Detti individui, in quanto mossi da chiassosa suggestione, incompetenza e presunzione, rendono completamente improprio e inefficace ogni tentativo di rivalsa politica popolare, inoltre,  non essendo in grado di preoccupare la disonesta casta del potere politico vigente italiano, ne incoraggiano e rinforzano il parassitismo e la possibilità di vessare il popolo.

È ovvio che non possiamo dimenticarci degli esseri amorali che amministrano la nostra cosa politica, ma tiriamo in ballo tanto l’oceano popolare di indolenti quanto gli spregevoli politici di ruolo, per mettere in evidenza che gli uni, impreparati e spesso presuntuosi, non possono essere in grado di contrastare la cinica attività vessatoria con cui gli altri opprimono la gente.

Da qui nasce la questione assai evidente e pratica che i destini del popolo, dunque di quell’insieme di cittadini che nel precedente (capitolo n.79) non abbiamo voluto chiamare massa, siano strettamente vincolati e dipendenti dalla preparazione culturale generale del popolo stesso.

Operare senza sapere, ma presumendo arrogantemente di sapere, è la più assurda e perdente delle pretese; impegnarsi a capire e fare propria una così importante verità, sarebbe bene e vanto per chiunque.

Come qui si è sempre sostenuto, occorrerebbe non confondere l’emotività e la suggestione con la razionalità e l’intelligenza; dovremmo essere tutti convinti che sia possibile abbandonare l’impulsività e organizzarsi basandosi su maggiori livelli di conoscenza e riflessione; nel suo piccolo, questo corso spinge fortemente verso una simile evoluzione sociale.

Per il momento non c’è alternativa, se non stabiliamo di capire che possiamo rinforzarci nell’umiltà, abbandonando le facili presunzioni che ci rendono battibili e vulnerabili, dunque perdenti, non potremo accedere ad alcun futuro realmente democratico.

 

 

Ti racconto la politica 81

Non sappiamo avere idee

 

La cronaca del nostro congresso in “diretta” non è ancora finita, mancano un paio di fasi importanti, dunque, quelle conclusive; “accenderemo” ancora qualche volta le nostre telecamere, tuttavia, dopo ottanta capitoli in cui ci si è spesso preoccupati di descrivere certe spregevoli “tecniche” della politica, possiamo anche prenderci qualche libertà.

Sempre pronti a sostenere contraddittori con chiunque voglia negarle, questo corso ha descritto delle abitudini perfino perverse del mondo della politica istituzionale, ma ha anche invitato a notare che imperversa una mentalità popolare convinta, con un po’ di superficialità, che l’inconfutabilmente indegno, sia come “edificato” su basi facilmente contrastabili; invece non è così e anzi, su questa poco avveduta convinzione, il popolo continua a indirizzare negativamente molti dei suoi destini.

Possiamo tranquillamente affermare che se da una parte esiste una classe dirigente politica indegna, dall’altra c’è l’illusione perfino arrogante di un popolo che crede di contrastarla mentre la suffraga e rinforza.

Parlare di “illusione arrogante”, sembra una contraddizione in termini, ma non è raro che il popolo italiano faccia proprie delle illusioni che sostiene in modo fissato e con atteggiamenti vanagloriosi. 

Esperienza e studio della storia alla mano, è assolutamente possibile affermare che i vari assurdi e folli urli di rivalsa politica popolare, se non di rivoluzione, siano stati vergognosamente rovinosi in relazione al raggiungimento di qualsiasi obiettivo propugnato.

Le nostre ribellioni popolari contemporanee sono state tutte fallimentari e ancora oggi, alla luce dei decenni passati e delle indecenti sconfitte politiche subite, siamo un popolo che continua a confondere il coraggio delle idee e la capacità di fare strategia, con certo inutile folclore politico.

A tutt’oggi, non esiste alcun segnale che indichi che il popolo italiano si accinga ad entrare in una stagione o fase di discernimento politico basato sulla razionalità, invece che sulla facile suggestione; una tale constatazione lascia supporre che resteremo segregati dalla politica istituzionale per lunghi e lunghi decenni ancora.

Le premesse delle prossime politiche del 2018, improrogabili per scadenza di mandato, sono da patibolo generale del popolo; del resto, non è da visionari affermare che il popolo saprà fare ben poco per evitare di subirne le gravi conseguenze.

Qualunque cosa si faccia, dalla “extrema ratio” del non voto, alla formazione di soggetti politici nuovi, a quant’altro, siamo un popolo incapace di stare unito e di capire che, fuori dell’unione e della coesione, non potremo concretizzare nulla di politicamente e popolarmente utile. Ciò potrebbe anche stare a significare che ci attende qualche evento preparato dalla storia, dal destino, dall’evoluzione scientifica o chissà cos’altro, ma non da noi.

La politica popolare sembra essersi negata la possibilità di dare una lezione di etica,  di sensibilità e comportamento alla malvagia politica istituzionale.

Ecco, come accennato in apertura, forse è proprio da qui che nasce il desiderio ma anche la necessità di prendersi qualche libertà …

 

 

Ti racconto la politica 82

PdP - Politica da Pena

 

A proposito dell’eventualità accennata nel precedente capitolo n.81, di prenderci qualche libertà, è forse il caso di riflettere un po’ sulle elezioni politiche che arriveranno comunque nel correre del prossimo 2018, salvo sconvolgimenti planetari.

Non manca certo la possibilità di elencare fatti, tanto avvenuti quanto in essere, così come non manca quella di trarre delle conclusioni se non previsioni.

Il nostro Paese è inchiodato in una sorta di considerazione arcaica delle culture politiche che si raggruppano sotto le denominazioni di “Destra” e “Sinistra” alle quali, dato certo perbenismo, è stata aggiunta l’ipocrita “accortezza” di anteporre il termine “Centro” che, per via del diffuso ma anche arrogante bigottismo popolare, fa apparire le cose come più eque.

Per esempio, come in un gioco di prestigio, abbiamo assistito al Partito Comunista Italiano che, attraverso un maquillage durato decenni, è riuscito a farsi chiamare Partito Democratico.

Il Centro, a sua volta “compresso”, si dilata in ogni direzione, come a volersi chiamare “Destracentro”, “Centrocentro” e “ Sinistracentro”.

Le suddette ipocrisie reiterano la falsità ma anche la monotonia con cui leader vecchi, nuovi e sedicenti tali, “abbaiano” i termini di democrazia, democratico, libertà, liberazione, alleanza, unione, movimento, popolo, popolare, alternativa, nuovo, sociale, polo e quant’altro … fino a formare l’infinito rosario dei modi ipocriti con cui si cerca di usare un nobile nome o acronimo, col vile scopo d’infatuare la gente.

Nasce da qui la presuntuosa miriade di partiti che pensano di accreditarsi come intuitivi, mentre non sanno dire mai nulla di nuovo; e avanti, dunque, con sovranista, indipendentista, secessionista, anti Euro, anti Europa, rivoluzione e chissà cos’altro finché, alla tiritera di nomi e acronimi inutili, segue l’altrettanto infinito elenco di programmi che si propongono come “geniali” mentre continuano a non dire nulla.

Anche relativamente ai programmi, si assiste alla penosa ripetizione del sempre uguale e all’autocelebrazione di coloro che li propongono come originali, pur nella monotona presentazione dei soliti specchietti per le allodole come la salvaguardia dell’ambiente, la tutela del lavoro, la difesa dei deboli, la lotta alla corruzione e alla grave tirannide delle istituzioni centrali e periferiche, la trasparenza negli appalti, la riduzione della spesa pubblica e delle tasse, l’equità delle pensioni, il piano energetico e chi più ne ha più ne metta … fino alle proposte di carcere obbligatorio per i politici criminali che ci vessano.

Si snocciola il “rosario” dei temi infami con cui ci si prende gioco di un popolo che, a sua volta, continua imperterrito a confondere l’apparenza con la sostanza e l’inutile folclore politico con la capacità d’avere idee e fare strategie.

Le elezioni del 2018 si preannunciano come un destino amaro. Il PD ha aperto all’uso criminale del potere; Silvio Berlusconi invecchia mentre certi squallidi individui si barricano intorno a lui; M5S e altri blaterano … e il popolo prosegue nella sua “lirica dell’inutile”.

 

 

Ti racconto la politica 83

(Cronaca di un congresso) parte N

 

Nessuno s’illuda, anche nel capitolo n.73 (Cronaca di un congresso - parte M) si fa presente che nei congressi dei partiti, la democrazia non esiste e non si esita a bloccare con ogni mezzo e senza scrupoli, chiunque non “obbedisca” o non si allinei.

La democrazia, la nostra democrazia italiana, è usata esclusivamente come attrazione esteriore ed è in mano a impostori  se non a criminali incalliti.

Il contatto umano con la gente è finito e i congressi dei partiti pilotano la scelta elettiva su dirigenti esperti nella generale organizzazione del voto di scambio, piuttosto che su dirigenti in grado di meritare la fiducia popolare.

In chiusura del capitolo n.68 (Cronaca di un congresso - parte L), si riportava che il sistema per “scegliere” il presidente, il segretario e gli altri “garanti” dell'assise congressuale, è semplice ... chi sale sul palco propone i nomi a suo tempo stabiliti nel tavolino del preordino dei congressi, dunque, l'assemblea acclama. 

Svolte le prassi e le messinscene descritte nei precedenti capitoli dedicati alla “cronaca di un congresso”, ecco che il primo oratore del partito celebrante, sale sul palco e prende la parola; ma chi è la gente seduta in sala?

A parte i “pleonastici” già descritti in altre occasioni,  quella gente è "la crema della crema" di tutti i tesserati, specialmente quelli dei “Pacchettari” (capitolo n.18). I congressi eleggono i dirigenti di partito e sono proprio i dirigenti che a loro volta si inseriscono e inseriscono i loro uomini nelle istituzioni e nei “Postifici” ... (capitolo n.7), ricordate?

Dal potere legislativo a quello esecutivo, dai manovratori di ruolo in ogni settore, ai burattini di turno, tutto prende forma lì, proprio nei congressi ... ma pochi lo sanno. In quell’assise, se anche fossero presenti tutti i tesserati,  si conterebbe meno dell'uno per cento della popolazione anagrafica residente, ma l'elenco dei tesserati (vedi capitoli n.5, n.6, n.14, n.18, n.20, n.21, n.22) è sempre un “concetto vago” e alla fine, in quella sala, il popolo è rappresentano in misura dello zero virgola per cento. In quella sala, sono  seduti corrotti e aspiranti corrotti; sono seduti alcuni dei soliti ingenui e l’eventuale disobbediente non disposto ad allinearsi e pronto a scontrarsi con qualche “capo”, si troverebbe inesorabilmente ostacolato dalla desolazione etica di quello scenario.

Eppure, paradossalmente, è già tanto che si parli di gente seduta in sala; oggi, infatti, c’è chi offende la democrazia con i “web-congressi”; non stiamo certo disapprovando la modernità ma denunciamo che molte “novità tecniche” siano spudoratamente usate per soggiogare la gente, invece di garantirla; oggi, i “congressi telematici” sono una truffa.

Inoltre, qui in Italia, proprio per “contrassegnare” i tesserati che avranno il diritto di voto congressuale, c’è chi ha “inventato” la qualifica di socio attivista; lo sapevate?

Parleremo presto di come si presentano le liste nei congressi.

 

 

Ti racconto la politica 84

Non ho tempo

 

Come afferma la stessa scienza, perfino il concetto di tempo si evolve e chissà quante cose ci dirà ancora; il tempo avvolge tutto ed è un concetto pertinente anche alla politica, dunque, trovarlo tra le pagine e i capitoli di questa nostra trattazione, è normale.

A proposito, sei tu che dici sempre: “Non ho tempo”?

Beh, se è così, vorrei parlare con te di alcune cose; con te, sia chiaro!

Vorrei discernere di politica, vorrei che mi aiutassi, vorrei aiutarti, vorrei che riuscissimo a pensare perfino di giocare talvolta nella stessa squadra.

Vorrei, vorrei ... vorrei comunicare, conoscerti, dare e ricevere compagnia, confrontare le tue e le mie idee.

Si tratta di sentimenti elementari, di parole semplici che esseri umani generosi pronunciano ogni giorno al telefono, per strada, al bar … ovunque.

Semplici parole alle quali purtroppo, forse con qualche leggerezza, tu rispondi quasi sempre: “Non ho tempo”.

Che espressione apatica, non credi?

Poco originale, ripetuta da troppi e troppo spesso col ritmo dell'ossessione e con qualche traccia di presuntuoso vittimismo.

Parole che valgono davvero poco, eppure usate da buoni e cattivi, umili e arroganti, contenti e tristi, uomini e donne, poveri e ricchi.

Parole intrise della troppo “sconfinata” giustificazione del “devo lavorare”, “devo mangiare”, “devo mantenermi”; parole che sono spesso viatico di un sopravvivere mediocre e offensivo dell’ultimo brandello della tua libertà.

Forse non ci hai mai pensato, ma la mancanza di tempo è una sorta di truffa nella quale sei caduto come un allocco.

Una società che non ha tempo è una società che non sa riflettere, una società che non genera preoccupazione a certa prepotenza istituzionale, ovvero a quel potere politico che proprio per portarti via il tempo, ti annega nell’angoscia, nell’impedimento, nella regola immorale e nella burocrazia bastarda.

Eh sì, caro mio, ci sei proprio caduto come un allocco!

Non hai tempo insomma, dunque, non credi, non aiuti, non t’impegni e fai come di tutto per non valere nulla, nonostante ti senta un “duro”.

Ho sentito spesso come contesti e come ti lamenti! Quei tuoi toni supponenti, quel coraggio solo urlato, quegli assurdi flash senza cognizione che lanci come se fossero luce al mondo.

No, non è vero che ti manca il tempo; forse scarseggi in umiltà, coraggio e preparazione.

Eppure, tutti insieme, siamo la forza e se la smettessi di non avere tempo, ti accorgeresti che quelle istituzioni che ci offendono e quei miserabili adepti del potere politico vigente, inizierebbero ad avere paura.

Caro amico che non hai tempo, caro lavoratore, caro elettore del Centroqua o del Centrolà, procurati un po’ di tempo e di convinzione, sforzati di capire che il mondo va oltre il salotto di casa tua e i muri del tuo ufficio e che proprio lì, oltre quelli, c’è un nuovo paragrafo di vita che ti aspetta.

 

 

Ti racconto la politica 85

La maledizione politica

  

La politica è appestata da decenni e possiamo parlare di parassiti, zecche e insetti, come se fosse una pianta ammalata; è una realtà ormai antica che non accenna a finire e che fornisce "frutti marci" da troppo tempo.

Ha una natura criminale, scopi subdoli, ipocriti e disonesti, inoltre, tanto centrali quanto periferiche, genera istituzioni arroganti, marce, incapaci e prepotenti.

La vergogna della politica italiana merita ormai la punizione, il castigo e la condanna divina!

Fatta fuori la classe politica dei “grandi vecchi”, è arrivata anche una moltitudine di “giovani” impreparati e inconsistenti, che non sono minimamente riusciti a ricostruire nel popolo lo stimolo della curiosità, se non proprio quello della fiducia nella cosa pubblica.

Sia la Destra sia la Sinistra hanno avviato la loro ipocrita corsa verso il Centro non, come era inizialmente sembrato, per dare ragione alla conferma della democrazia quale forma di rispetto del popolo, ma per rimanere comunque abbarbicati, nonostante mossi da narcisismi, egoismi e altri mille squallori umani, al vizio del potere.

Da un canto, sedicente paladina delle classi deboli, la Sinistra ha finito con lo snocciolare il più interminabile rosario dei fallimenti politico-popolari; dall’altro, sebbene in possesso di contenuti meno enfatici, la Destra si è tanto sfaldata da non riuscire a portare via il testimone neppure a una Sinistra che non è mai stata così prossima al nulla, come in questo momento.

Sulla passerella della politica, quando va bene, scorre un bla bla bla ipocrita e insopportabile; quando invece va peggio, scorre una cafoneria e una grossolanità che solo qualche allocco può confondere ancora col coraggio del parlare chiaro.

Nonostante si sia toccato il fondo da lunghi anni e nonostante lo si continui e raschiare, non s’intravvede, neppure in lontananza, il più piccolo barlume di una sorta di primavera che possa annullare o quantomeno limitare quello schifo che è ormai diventato la normalità della politica.

Per contro, come in una beffa, esiste un mare di sedicenti leader popolari che si auto incensano mentre tentano di darsi sorte “lanciando” presunte novità che sono solo inconsistenti e vanagloriosi proclami.

Da una parte siamo, chi corrotto e chi inconsapevole, complici della vergogna istituzionale accennata, mentre dall’altra continuiamo a dare credito alla politica popolare dei “sacchi vuoti”.

Cosa accadrà? Semplice, non sappiamo organizzare nulla perché siamo un popolo che sciorina mille idee a cui non affianca mai una strategia efficace, dunque, il destino ci condurrà dove vorrà.

Non siete d’accordo? Ok, aspettate le politiche in arrivo e vedrete.

Deve essere il popolo a capire come avvicinarsi alla politica per migliorare la democrazia … ma per questa meravigliosa evoluzione sociale e popolare, ci vorrà ancora moltissimo tempo.

Creata la disaffezione popolare, si è come spenta la fiducia politica su tutto; la politica vera, la politica alta, la politica che coinvolge e appassiona, è intanto morta.

 

 

Ti racconto la politica 86

Privi d’ogni pudore

 

Non se ne può davvero più.

Con quale faccia di bronzo i nostri politici “eletti”, continuano a proporsi con superbia, prepotenza e vigliaccheria, nonostante ricevano quotidiani insulti da parte del popolo che non li sopporta più?

Faccia di bronzo forse è poco; si tratta infatti d’individui “devoti” alla loro natura parassita e vigliacca con cui sfruttano i cittadini.

Come recita una sorta di adagio: al mattino, ogni italiano che si alza dal letto, resta piegato perché ha il peso di un politico sulle spalle.

È incredibile come i nostri politici, portatori di mille punti di vista differenti e contrastanti,  trovino unità d'intenti nel derubare e avvilire il popolo.

Il primo parlamentare si suiciderà quando si sarà ucciso l'ultimo cittadino.

L’infame apparato pubblico, ha avuto genesi per tutelare il popolo e invece esiste per avvilirlo e opprimerlo; il nostro popolo vive il calvario della schiavitù creata dalle istituzioni.

Ne è esempio la mostruosa burocrazia che, presentata come equità e sicurezza, ha invece il fine di estorcere e corrompere.

L’intelligenza ha una perversa deviazione che si chiama cinismo e nei nostri politici vigenti, il cinismo straripa.

Basti pensare che, mentre il consenso popolare è in costante calo, loro si organizzano per compralo piuttosto che per meritarlo e il capitale che adoperano per pagarlo, viene dal denaro pubblico. Le istituzioni dello Stato hanno saputo trovare i nomi più nobili per mascherare le più infami forme di corruzione ed estorsione.

La democrazia è cosa diversa dall’ipocrisia che se n’è fatta per dare agio ai criminali e vigore agli stupidi; del resto, la democrazia è luce della società quando la società esce dal buio del’ignoranza.

La nostra falsa democrazia non permette affatto di vivere in regime di libertà, al contrario, essa usa sottilmente il plagio per incanalare il popolo dove le fa più comodo; si "occupa" di te, facendo di tutto perché tu non ti occupi di lei. La limitazione della libertà fisica è un concetto di oppressione popolare antico, oggi si è fisicamente liberi di mettere l’emotività  al posto dell’intelligenza, dunque, di fare proprie le fissazioni con cui si è ipnotizzati dal plagio che è una precisa tecnica del potere; per esempio, l’intelligenza dell’apolitico è uguale a quella di chi, attaccato in mare dagli squali, si definisce “asqualico”. Il potere riesce ancora a dividerci in ideologie, mentre la sua unica ideologia è l’estorsione di denaro.

Credevamo d'avere scopeto la democrazia, invece ci siamo trovati davanti al modo nuovo e ambiguo di chiamare la dittatura.

La nostra democrazia è sopruso istituzionale, ma il destino o fato, che per i Greci superava lo stesso Giove, ferma in modo trascendente gli individui perversi e le angherie della storia. Anche un popolo come il nostro, incapace di rivalse efficaci, prima o poi vedrà la carne dei suoi politici infami, dissolversi come corrosa nell’acido.

 

 

Ti racconto la politica 87

(Cronaca di un congresso) parte O

 

Una semplice proposta formulata dal podio degli oratori, naturalmente concordata a suo tempo nel “tavolino del preordino dei congressi” del quale abbiamo scritto in svariati capitoli, dunque, una semplice alzata di mano da parte degli astanti ed ecco eletti il presidente,  il segretario e quant’altro previsto per l’assise del congresso.

Dopo qualche immancabile “salamelecco”, si prosegue per ottemperare ai successivi compiti. È giunto il momento di fissare gli orari d'apertura e chiusura della presentazione delle liste; anche se non è il primo né l’ultimo, è adesso che scatta uno dei trucchi più antidemocratici e dispotici di tutto l’evento congressuale.

Sarebbe democratico ma anche logico, che vi fosse libertà di presentare le liste dei candidati alla dirigenza del partito, già dal momento in cui il congresso è dichiarato ufficialmente valido e in essere, ma non avviene è così. Nei partiti politici italiani, la democrazia è considerata un rischio, dunque, si devono mettere in atto i soliti “trucchi garanzia”.

Nel noto tavolino del preordino dei congressi, si è fatto di tutto per programmare la celebrazione di un congresso di tipo "unitario", cioè con una sola lista (capitolo n. 34) di candidati alla dirigenza del partito; è quasi sempre così, ma anche la descritta modalità delle “liste concordate" (capitolo n.37), sottintende che sia già stato pattuito e prestabilito ogni particolare. Anche se accade molto raramente, il problema - si fa per dire - è invece rappresentato dalle cosiddette "liste contrapposte" (capitolo n.38). In ogni modo, c'è sempre una lista detta "ufficiale", che il partito presenterà per prima; in altre parole, l’assemblea non fissa un orario dal quale sarà possibile iniziare a presentare le liste, ma fissa che quell’orario scatti dal momento della presentazione della prima lista che è quella ufficiale.

Le liste inaspettate non sono gradite, dunque, si stabilisce che la lista ufficiale del partito sia la prima e che la sua presentazione segni il termine d'apertura per la  presentazione delle altre liste eventuali.

La proposta è fatta, gli astanti alzano la mano e approvano, ma quale sarà l'orario di chiusura?

Sembra un sorta di gioco di prestigio, si è infatti fissato un orario senza fissarlo.

Tutto deve essere controllato, dunque, accade normalmente che la presentazione della lista ufficiale faccia scattare il momento di apertura ma anche di chiusura quasi immediata, se non immediata, della presentazione delle altre liste.

"Cari iscritti - prosegue il relatore - svolta la prassi iniziale, diamo adesso avvio al dibattito; più tardi, fisseremo l'orario di chiusura della presentazione delle liste".

Così, intorno alle undici, il dibattito è dichiarato aperto. Dirigenti, senatori o deputati che siano, i primi relatori parleranno fino a sera. Quando arriva la lista ufficiale? Quale sarà l’orario di chiusura della presentazione delle liste? Che fine ha fatto il seggio delle due signore (Capitolo n. 52) che non sono più scrutatrici?

 

 

Ti racconto la politica 88

Non vinci se non sai

 

Non c’è dubbio che la politica sia una materia complessa, dunque difficile da seguire, capire e conoscere, però è la base su cui si sviluppa ogni organizzazione, amministrazione e norma della società civile; allora, darsi da fare per conoscerla e capirla è utile, doveroso e perfino intelligente per ogni cittadino.

Per gioco del destino o debolezza del popolo o intrusione della prepotenza, quando accade in particolare che essa finisca nelle mani di individui indegni e privi di scrupoli come succede  ormai da qualche decennio nel nostro Paese, dunque alla nostra società, allora diventa imperitura la necessità di sapersi documentare e destreggiare per conoscere con meno superficialità la politica e i suoi meccanismi.

La conoscenza però, non può derivare dalla facilità di suggestione e dalla conseguente emotività; essa deve essere una ponderata necessità dettata dalla capacità d’attesa e dall’intelligenza.

Nessuno può confutare che il nostro popolo viva un’epoca in cui é piegato, sfruttato e martoriato da una politica di regime che l’opprime, giorno per giorno, per non dire del ripetersi dei casi di cittadini che vanno via dall’Italia o che addirittura si suicidano.

Nel mondo si sono vissute molte rivoluzioni e ribellioni ma le poche, anzi pochissime che la storia annovera come effettivi successi popolari e non come occulte manovre del potere, sono state veramente vinte dal popolo solo quando questo ha saputo condurle con intelligenza e capacità di strategia.

Urlatori e fanfaroni non hanno vinto mai nulla, essi non sono affatto portatori di forte personalità né sono dei “duri”, come si sentono e come amano definirsi; sono invece dei ciarlatani che trovano sostegno nella facile suggestionabilità di un popolo stanco ed emotivo che li immagina come illuminati da raro intuito e indole rivoluzionaria. 

Non può esistere successo nel rifiuto di capire e non esiste impegno né lavorativo né sportivo né progettistico né politico né di nessun tipo, che possa condurre al successo e alla vittoria se non dietro una lunga, profonda e competente preparazione.

È ovvio che non si possa sapere tutto di tutto, ma è deplorevole pretendere di parlare e proporre strategie relative a cose di cui, nonostante si sappia molto poco, si ha la pretesa di passare come intenditori.

Nelle decine di capitoli che precedono, questo corso ha descritto, anche minuziosamente, trucchi, abitudini, veleni e vergogne che certa quotidianità riferisce a modo suo; si tratta però di scorrettezze e perversioni così vere e inconfutabili che, nonostante siano stati pubblicamente invitati presidenti, ministri e deputati a offrirsi per eventuali contraddittori circa gli squallori  descritti, nessuno si è fatto avanti.

La politica vigente si permette di maltrattarci con troppa facilità; saremmo più intelligenti se la smettessimo di disperdere inutili parole e speranze al vento e se sapessimo limitare, almeno in parte, la nostra propensione popolare a farci attrarre dal fascino di ciarlatani e fanfaroni.

 

 

Ti racconto la politica 89

Alipallas

 

“Concreto e subito?”

Ricordate il capitolo n. 24, del 13 febbraio 2016?

Non pensiamo certo d’aver fatto una predizione, ma quel morbo infetta da decenni la mentalità italiana e in ambito politico, la fissa popolare del “concreto e subito” non ha portato a nessun concreto e a nessun subito.

Come di consueto, il nostro riferimento è rivolto alla politica, ma ci accingiamo qui a criticare

un “vizio” della modernità che tende ad ammorbare l’opinione popolare su ogni tema.

La storia e la vita dimostrano che la competenza diventa sempre più settoriale; per esempio, se un giorno avevamo gli ingegneri meccanici, quelli edili e pochi altri, ora, in accordo col percorso odierno del sapere, tendiamo ad ingegneri in punti luce, ali d’aereo, eliche, recinzioni e cancellate, sedie, molle e ogni altra specialità particolare.

È probabile che un vero “tuttologo” non sia mai esistito, ma è certo che oggi nessuno può abrogarsi il diritto di competere in ambiti che non conosce. Ciò non vuol dire che non si debbano avere delle curiosità o che non ci si possa intrattenere con più interlocutori su più temi, ma vuol dire che la presunzione di sapere non può prendere il posto della conoscenza. In verità, Il popolo italiano sa ancora esprimere mille ingegni perfino sopra la media mondiale, dunque, non stiamo certo asserendo che sia un popolo di spacconi e presuntuosi, tuttavia, in tema di politica, è difficile trovare chi sentenzia idiozie come fanno certi italiani.

La nostra politica popolare è devastata da incitamenti di “abbagliati” che si credono intuitivi, coraggiosi e illuminati, mentre non sono altro che dei palloni gonfiati.

Da decenni, il nostro Paese è oppresso dalla criminale invadenza e prepotenza delle istituzioni politiche, eppure c'è chi si sente libero mentre butta il cervello all'ammasso, senza capire che la suggestione e l’impulsività amputano l’intelligenza.

A causa della suicida abitudine di assumere come verità la verità che più ci piace, la nostra analisi politica popolare si riempie d'incommensurabili sciocchezze, come un fiume di parole insensate che scorre nel letto dell’incompetenza.

Siamo testimoni dell’inconcludenza della nostra azione di rivalsa politica popolare; non sarebbe tempo di prendere atto di tale vergogna e licenziare ciarlatani, vanagloriosi e improbabili “docenti”?

La specializzazione verso cui corre la modernità, nega l’improvvisazione, ovvero la diffusa convinzione popolare che si possa realizzare qualcosa in modo immediato.

Dal concepire un bimbo per vederlo, come dall’interrare un seme per ottenere un albero, nella vita, dunque, nella politica, non esiste nulla che si sviluppi e completi subito.

Il sapere porta a Dio ed è facile che religione e scienza siano l’una lo stato potenziale dell’altra, come sappiamo che accade nel rapporto tra energia e materia; intanto però, non siamo onnipotenti.

Tu sai tutto? Allora dimmi, per cortesia, dove abita l’umiltà dell’intelligenza; inoltre, giacché commenti sempre, potresti esprimere la tua opinione sull'Alipallas?

 

 

Ti racconto la politica 90

Futuro

 

Le circa tremila battute usate per ciascuno dei capitoli del nostro corso, possono questa volta risultare limitative, ma saremo sintetici.

“Aiutati che il Ciel t’aiuta”, dice l’adagio popolare; cosa vuol dire?

Vuol dire che sul nostro destino, segnato o no, si può in qualche modo intervenire; ma vediamo di capire meglio.

Per esempio, se cadi sventuratamente in mare però sai nuotare, avrai maggiori possibilità di salvarti, diversamente, in assenza d’imprevisti fortuiti, annegherai. Ancora per esempio, se ti capita di vivere una situazione difficile e non ti lasci vincere dall’ansia, dalla paura o dall’emotività, è facile che te la caverai. Insomma, esistono mille e mille esempi, ma non possiamo certo elencarli uno per uno.

Insomma, “Aiutati che il Ciel t’aiuta”, vuol dire che se sai costruirti un carattere un po’ temprato, premunirti di un discreto sapere e scegliere di darti da fare, allora, nei fotogrammi della tua vita, avrai più possibilità d’intervenire e cavartela.

Charles Darwin diceva che alla giraffa si è allungato il collo, per i suoi continui sforzi di mangiare le foglie in cima agli alberi; è chiara la metafora?

L’adagio citato, è pertinente anche alla politica.

Ora, distinguiamo qui almeno due futuri: il primo è un futuro prossimo che riferiamo a pochissimi decenni davanti a noi, il secondo è un futuro remoto che riferiamo ai prossimi pochissimi secoli.

Il destino impregna il mondo e ogni popolo percorre una sua strada però, in tema di politica, il destino del popolo italiano rischia di essere assai disgraziato. È triste, ma se continueremo a farci suggestionare dalle parole nobili usate per presentare come socialmente utili o umanamente caritatevoli i disegni più avidi e criminali, il citato futuro prossimo sarà per noi disastroso. 

Molti punti chiave del potere politico italiano, sono stati lentamente resi accessibili al malaffare e il popolo, non essendosi preoccupato di capire, si trova come nell’esempio di chi cade in mare senza saper nuotare … un popolo impreparato non può avere la democrazia.

L’inizio della perversione politica italiana risale alla seconda Democrazia Cristiana perché, se non lo sai, le Democrazie Cristiane sono state due. La DC degna va dalle origini a metà anni Settanta, quella indegna va dalla seconda metà degli anni Settanta alla sua morte che, però, ha lasciato aperti gli accessi al potere tracciati per la malavita.

Salvo la tecnologia, molte delle cose che preordiniamo per il futuro prossimo, non serviranno nel futuro remoto; esso porterà certezze maggiori se non assolute, ma intanto noi paghiamo cari i nostri giudizi errati perché superficiali.

Nel futuro remoto, la reversibilità tra materia ed energia sarà alla portata di tutti, arriverà il teletrasporto, la mente potrà ridare esistenza fisica ai ricordi e l'essere umano sarà dotato di poteri nuovi.

Non saremo vulnerabili e il male non avrà più senso, ma l’accidia con cui ci siamo messi ad aspettare quel momento, renderà terribile la transizione.

 

 

Ti racconto la politica 91

Burocrazia e prepotenza

 

Grazie! Il precedente capitolo n. 90 intitolato “Futuro”, ha ricevuto una tale attenzione da lusingarmi. Il record apparteneva al capito n. 16 “Realtà e linguaggio”, pubblicato il 5 dicembre 2015, ma “Futuro” l’ha battuto e tra mail e messaggi, la richiesta più frequente è stata di trattare ulteriormente il tema e pubblicarne una seconda parte.

Naturalmente lo farò; mi sento ispirato da certe convinzioni che ho sul futuro, ma lo farò prossimamente. Oggi, il presente capitolo n. 91 è dedicato alla “burocrazia di Stato” che, divenuta paravento della prepotenza istituzionale, opprime il popolo fino al punto che esternare disistima nei confronti di certe istituzioni, è una quotidiana normalità.

Nel nostro meraviglioso ma disgraziato Paese, è stata proprio la politica e il conseguente “stile” delle amministrazioni pubbliche, ad adottare la burocrazia fino a trasformarla in una sorta di morbo che uccide, specialmente nelle nuove generazioni, la fiducia, la genialità, la fantasia e lo spirito d’iniziativa.

L’Italia ha reso all’impiego pubblico dei privilegi che ha negato a quello privato e molti, forse troppi amministratori e lavoratori pubblici, si credono portatori di poteri tali da porsi al di sopra dei normali cittadini; non è raro, per esempio, imbattersi nella tracotanza e boria del lavoratore pubblico che, portando una divisa di vigile urbano (pardon, “polizia locale”) o di controllore di biglietti o altro, si sente l’autorità.

Il rapporto inteso come quoziente, ovvero il risultato della divisione matematica che pone al dividendo gli aventi mansione pubblica e al divisore i normali cittadini, è in Italia il più alto del mondo; perché? Beh, non dovrebbe essere difficile capire che il pagamento pubblico dello stipendio, come della parcella, come della “tangente” o qualsiasi altra diavoleria, faccia parte di uno dei maggiori capitoli di “finanziamento” del taciuto ma mai negato voto di scambio.

Non facciamo certo di tutte l’erbe un fascio né vogliamo mancare il rispetto ai lavoratori pubblici per bene, ma grande parte della normativa burocratica italiana è costituita da una serie di cabale “inventate” per inserire una moltitudine di parassiti nell’apparato pubblico, col fine di accrescere i consensi elettorali di una classe dirigente politica vile, che non si fa scrupolo di portare molti cittadini all’angoscia o all’abbandono dell’Italia, se non al suicidio.

A ciò, si aggiunge che le strutture deputate ai poteri costituzionali legislativo ed esecutivo, si fanno leggi e decreti ad hoc per legittimare lo sfruttamento, l’usura e il crimine adottati da certe istituzioni pubbliche.

Come più volte affermato, è ormai prassi del potere politico usare il vocabolario dell’ipocrisia per dare esteriorità degna alla nefandezza.

Nel personale pubblico, è frequente incontrare individui incompetenti e dai modi anche maleducati e boriosi.

Che dire, inoltre, dei casi in cui è obbligatorio rivolgersi all’ufficio pubblico tramite lo strumento informatico, quando lo stesso strumento è stato progettato con tale incompetenza da essere inutilizzabile?

I cittadini si lamentano? Ovvio.